Ho dovuto fare molte cose noiose nel mio lavoro, tipo occuparmi di federalismo fiscale, ma nella mia classifica personale della noia ha scalato molte posizioni l’ascolto di Cerbero Podcast, uno show tramesso dalla piattaforma di streaming Twitch e poi da Youtube.

Breve antefatto: qualche giorno fa abbiamo pubblicato sul nostro sito l’intervista di una giovane e incolpevole collaboratrice ai conduttori di questo show. Alcuni lettori ci hanno segnalato che quell'intervista sembrava legittimare, da parte nostra, alcuni contenuti o comportamenti degli autori del Cerbero.

In effetti l’intervista manca – per un editing redazionale incompleto – di un minimo di contestualizzazione, non racconta gli episodi che rendono questo Cerbero popolare e controverso (tipo le ragioni per le quali è stato oscurato un paio di volte da Twitch) e non chiede agli intervistati di spiegare alcune loro affermazioni tanto nette quanto oscure. Come “femminismo tossico” o un criptico commento sugli assalti dei facinorosi trumpiani a Capitol Hill: «Non mi puoi venire a dire che “se fossero stati neri avrebbero sparato subito". È più difficile di così, la realtà va analizzata».

In questi casi ci vuole una seconda domanda. Più complicata come? Cosa vuoi dire? Chi sono le femministe tossiche?

Quando mi sono reso conto che l’intervista non rispettava i nostri standard, invece di rimuoverla ho pubblicato una breve nota spiegando che il fatto di aver riportato quelle affermazioni senza chiederne conto (sbagliando) non significava certo condividerle.

Silenziare il Cerbero?

Questo episodio ha innescato un po’ di chiacchiericcio online, con siti e utenti noti e meno noti che dai social  mi chiedevano cosa avessimo contro Cerbero o che ci contestavano di voler silenziare una voce libera ecc.

E’ il genere di polemichette che Dagospia ama rilanciare, ma perfino un sito più serio come Open di Enrico Mentana se ne è occupato.

L’intervista sta sempre là, nessuno l’ha censurata e, anzi, noi saremo sempre dalla parte di chi viene oscurato dallo strapotere delle piattaforme digitali che ne abusano. Abbiamo contestato l’imbavagliamento di Donald Trump, figurarsi se possiamo auspicare quello del Cerbero. 

La libertà va difesa sempre, anche quando se ne fa un uso disinvolto come fanno questi ragazzi del Cerbero (sono stati oscurati per un saluto romano, provocatorio, ovviamente, dicono loro, per scherzare sulle disposizioni che invitavano a vitare di toccarsi anche col gomito in tempo di pandemia, poi un complessa storia di nudi mostrati per errore da una pagina di Wikipedia).  

Comunque, visto che mi sono trovato in vari contesti a dover spiegare cosa pensavo di questo Cerbero, ho seguito un po’ dei loro show e della loro community, composta da fan appassionati e sempre un po’ incazzosi. Per avere qualche elemento in più e parlare con un minimo di cognizione di causa.

Intanto massimo rispetto perché, mi par di capire, riescono anche a guadagnare da uno show fatto di chiacchiere in libertà: la piattaforma Twitch permette infatti di abbonarsi.

Davide Marra, Simone Santoro, Mr Flame (un ragazzo mascherato, non ho capito bene perché) e David Rubino parlano essenzialmente del nulla per il tempo a loro disposizione, in video.

In una puntata c’era una tizia nel riquadro in alto a sinistra che mangiava cucchiaiate di un cibo che non ho identificato. Non ha detto nulla per tutto il tempo, non so bene chi fosse o che ruolo avesse.

Hanno un discreto seguito, arrivano decine di messaggi, reazioni. Vivono di polemiche social, fatte sempre da soggetti che non nominano: a sentir loro c’è un esercito di femministe bellicose in agguato che pare spaventarli molto.

Hanno anche dedicato un’intera puntata a spiegare cosa pensino del femminismo, con lo scopo – credo – di dimostrare che loro sono equilibrati e che sono le femministe a essere aggressive. Approccio che ricorda un po’ la vecchia freddura “non sono io che sono razzista, è lui che è nero”.

Si muovono sempre sul filo del politicamente scorretto, la lunga sequela di banalità è puntellata da perle tipo «l’amore per il rischio è una cosa maschile, ma a livello di percentuale» o «in certi lavori cercano donne, nei ristoranti richiedono una cameriera invece che un cameriere», con un eloquio infarcito di espressioni prive di contenuto come «la fattualità delle cose».

La passività violenta

Per essere così interessati alla questione di questo presunto  “femminismo tossico” sembrano essere davvero poveri di argomenti: mai un nome, mai un fatto, mai un esempio, mai un ragionamento.

Dietro i luoghi comuni non c’è assolutamente nulla, presentano la loro tesi – che esiste un femminismo accettabile (Da chi? Da loro?) e uno tossico (boh) – come se fosse un’ovvietà invece che quello che dovrebbero dimostrare o almeno raccontare.

Se il maschilismo, come qualunque forma di prevaricazione, è prima di tutto mancanza di conoscenza e di empatia, loro ci cascano in pieno.

Anche la retorica vittimista che usano è una forma di passività aggressiva che ha molti precedenti. Per esempio, è lo stile retorico usato da Matteo Salvini quando parla dei suoi avversari e dei migranti.

Ma è anche la tecnica retorica preferita dai suprematisti bianchi americani che non rivendicano mai la legittimità della discriminazione a danno di altre categorie, ma anzi si appropriano del linguaggio e delle tecniche delle minoranze oppresse.

Non sono loro - i Produ Boys e i loro antenati col cappuccio bianco – a voler tenere i neri sottomessi, a volerli escludere dal voto, o dall’istruzione o da altre opportunità. No, è il maschio bianco eterosessuale a essere discriminato in una società dove ormai regnano le minoranze. Lui, privato del suo ruolo e delle opportunità riservate alle quote, è il vero oppresso e dunque ha tutto il diritto di ribellarsi.

In modo sicuramente inconsapevole, perché non sembrano aver mai letto altro che i commenti ai loro show, anche i ragazzi del Cerbero replicano questo schema.

La lezione di Cruciani

Il loro incontro con Giuseppe Cruciani è rivelatorio. Invitano per una chiacchierata il conduttore della Zanzara su Radio24 che sembrano venerare come un precursore.

Ma Cruciani, per quanto eccessivo in tante sue esternazioni, è un professionista navigato che resiste da vent’anni dentro la radio della Confindustria. E infatti intrattiene i suoi giovani emuli con discorsi molto argomentati su come si sia ritagliato uno spazio di sconcezze dentro una testata per il resto molto seriosa.

Ma i ragazzi del Cerbero sembrano interessati soprattutto all’annoso problema della bestemmia: perché c’è questo limite invalicabile? Limite che loro, beninteso, valicano spesso quando infarciscono i loro show di una sequela di porco qui e porco là.

Cruciani è un cinico indifferente a tutto, ma prova a convincerli che evitare le bestemmie in una trasmissione è una convenzione sociale minima a cui tocca conformarsi.

I Cerberi non si danno pace, hanno ancora quell’entusiasmo dei bambini che hanno scoperto le parolacce e le ripetono sogghignando, soltanto per dimostrare che possono farlo e per farsi dire dai genitori che invece è sbagliato. 

La loro idea di trasgressione, insomma, è più o meno la stessa di un ragazzino di 11 anni.

La loro vera e rilevante trasgressione, però, è quella che consiste nel violare tutte le regole del ritmo che di solito vigono negli show radio o video: niente struttura, niente scaletta, lunghi momenti di niente. Ma ai loro fan questo sembra piacere.

Nel complesso, il Cerbero finisce per annoiare lo spettatore molto più spesso di quanto lo faccia indignare.

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