La nomina da parte del governo Draghi di alcuni economisti a supporto della valutazione degli investimenti europei del Pnrr ha scatenato l’ennesima polemica tra fazioni: sono troppo liberisti i nominati? Sono soltanto invidiosi i contestatori? Entrambi i fronti sembrano negare una semplice verità: tutte le nomine sono politiche.

Quando il presidente americano Joe Biden indica la 32 enne giurista Lina Kahn a presiedere la più importante agenzia antitrust, la Ftc, i commenti non sono soltanto sulla competenza: aver scelto la più inflessibile fustigatrice del potere monopolistico delle piattaforme digitali indica che la Casa Bianca auspica un’azione più incisiva su Amazon, Google e Facebook. Esistevano persone più competenti? Sicuramente, se la competenza si misura dal numero delle pubblicazioni accademiche. Altrettanto sicuramente esistevano persone meno schierate, più super partes, ma Biden ha fatto una scelta chiara che tutti hanno capito.

I consiglieri di Draghi

Nel caso italiano il dibattito è molto meno trasparente. I fatti sono questi: il consigliere economico del premier Marco Leonardi avrà, all’interno del Nucleo tecnico per il coordinamento della politica economica, una struttura di cinque persone e una a supporto dei progetti con i comuni. I cinque indicati sono il capo economista dell’Autorità dei trasporti, Carlo Cambini, un giovane dottorando della Paris school of economics, Francesco Filippucci, che è tra i fondatori del sito Tortuga, l’economista dell’Università di Pavia Riccardo Puglisi,  dalla Bocconi Marco Percoco, esperto di trasporti, che già aveva fatto il consulente del governo Conte 2. Poi c’è Carlo Stagnaro, un non accademico, direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni, un think tank molto liberista, che spesso interviene sui giornali.

Un appello firmato da oltre sessanta economisti, pubblicato online anche da Domani, contesta queste nomine e chiede al governo di scegliere soltanto nomi di «indiscussa competenza e obiettività sui temi trattati, attenti al ruolo che gli investimenti del Pnrr potranno avere nel contesto del nuovo intervento pubblico in economia».

Anche molti dei firmatari hanno una vita pubblica attiva accanto a quella accademica e hanno avuto incarichi di governo, di partito, di consulenza… Riccardo Realfonzo è stato assessore a Napoli, Sergio Cesaratto ha scritto infiammati pamphlet e articoli anti-eruro, Filippo Barbera è impegnato nel Forum disuguaglianze e diversità.

I contestatori contestano il profilo ideologico dei nominati, ma anche l’omogeneità di genere, lo scetticismo sul ruolo dell’intervento pubblico (anche se per la verità oggi un po’ tutti rivendicano la spesa a debito, per mille ovvie ragioni) e anche l’atteggiamento verso le disuguaglianze.

Gli altri sono sempre in malafede

Con questo approccio, difficile che si vada lontano. Analoghe contestazioni sono state rivolte nei mesi scorsi, a parti invertite, a consulenti e collaboratori dei governi Conte. Un anno fa, per esempio, in uno dei suoi mille tweet Riccardo Puglisi scriveva: «Mariana Mazzucato è totalmente sopravvalutata come ricercatrice, oltre ad essere fortemente ideologica. E una vasta schiera di economisti pensa esattamente quello che penso io». Mazzucato, consulente del governo Conte e anche della Commissione europea, ha lavorato all’approccio per “missioni” del Recovery plan ed è ugualmente stimata e odiata per ragioni prima ideologiche che scientifiche (grande sostenitrice del ruolo dello stato nell’innovazione, più su base aneddotica che di ricerca accademica).

Tra gli economisti non se ne trova uno che sostenga di avere un filtro ideologico o politico nell’approccio alla realtà: tutti si professano “data driven”, cioè guidati dai dati. Alcuni lo sono davvero, altri meno, in ogni caso i dati si possono usare in tanti modi e i risultati possono avere vari livelli di significatività, che discendono anche dalle ipotesi a monte dello studio.

Nel dibattito sulla disuguaglianza in America, per esempio, chi vuole drammatizzare il problema considera soltanto l’andamento dei redditi da lavoro, chi vuole ridimensionarlo guarda anche all’andamento dei benefit come la copertura sanitaria o pensionistica (che sono cresciuti). Hanno ragione entrambi, ma a seconda di quale approccio si sceglie ne discendono conseguenze politiche diverse.

L’approccio della competenza vale nell’accademia, non necessariamente in politica: nel suo campo di ricerca, per esempio, Puglisi è sicuramente competente e vanta pubblicazioni di livello. Ma un esperto di economia dei media è quello che serve per valutare investimenti pubblici?

Ogni parrocchia tenderà a considerare gli appartenenti alle altre non soltanto in malafede, ma anche incompetenti. E ogni governo sceglierà, come inevitabile, tecnici capaci di sviluppare politiche coerenti con il mandato politico dei ministri e del presidente del Consiglio. Gli esperti super partes non esistono.

Il vero tasto dolente

Invece che battagliare sulle sfumature ideologiche, bisognerebbe affrontare un tema che agli accademici piace poco affrontare: i conflitti di interesse. I tecnici che lavorano al governo dovrebbero essere soggetti a requisiti di trasparenza e incompatibilità molto maggiori che i politici eletti, proprio perché titolari di competenze tecniche che i politici non controllano. Per chi hanno lavorato prima della loro consulenza? E per chi lavorano durante e dopo? A quali informazioni sensibili hanno accesso e quali vincoli ci sono al loro utilizzo, anche a fini di ricerca (chi ha i dati e le fonti fa carriera)? Ci sono limiti alle porte girevoli, per evitare che chi vigila sul Pnrr poi vada a lavorare per aziende che prendono miliardi dal Pnrr e magari possa essere tentato dal fare scelte che poi monetizza a incarico pubblico finito?

Il modo migliore per spazzare via le polemiche ideologiche è garantire trasparenza e accesso orizzontale ai dati. Il governo si faccia consigliare da chi vuole, ma renda aperte e accessibili le informazioni che servono a un monitoraggio davvero indipendente della gestione del Pnrr, che è la sfida di politica economica più complessa di sempre.

Se avessimo seguito questo approccio nella pandemia con i dati Covid, raccolti male dalle regioni e gestiti peggio dall’Istituto superiore di sanità, avremmo quasi certamente avuto analisi utili a salvare migliaia di vite. Economisti di fazioni opposte dovrebbero allearsi per la trasparenza e l’accesso democratico alle informazioni, invece che per cercare di prevalere a turno sull’avversario.

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