Contro chi i dimostranti scendono in piazza? Contro chi sono lanciate le bombe carta, e rovesciati i cassonetti?  La risposta sembra ovvia: contro il governo. Contro il Dpcm di sabato scorso che ha deciso di adottare misure restrittive (ma non radicali) che interessano essenzialmente alcune categorie di persone (i giovani prima di tutto) e di imprenditori, commercianti e lavoratori che operano nella filiera ampia del tempo libero – essenzialmente tutti coloro che fanno vivere la movida prima di tutto (bar in primo luogo e ristoranti). Per tenere i giovani a casa, per evitare i loro spontanei assembramenti intorno a un bar, in una piazza, con una birra in mano. 

Il Dpcm ha, nei fatti adottato una severità mirata e selettiva – questo fatto deve aver scatenato la rivolta. Il fatto che una parte della popolazione sembra essere soprattutto castigata. Fino a quando la chiusura era eguale per tutti, draconiana e radicale senza eccezioni, tutto sembrava essere accettato, anche se con progressiva scontentezza. È quindi probabile che la differenza di trattamento abbia avuto l’effetto di una bottiglia incendiaria e fatto esplodere prima Napoli e poi, a seguire, Roma, Torino e Bari. 

Se si tratta di manifestazioni di protesta contro il governo - e non per negare l’esistenza del virus e del contagio -, viene immediato chiedersi quale potrebbe essere l’alternativa desiderata.  O che il governo faccia come fece a marzo: tutto fermo per tutti. Oppure, che il governo faccia come Trump e Bolsonaro, ovvero astenersi dal fare, lasciare che ciascuno affronti il rischio per conto proprio e sperare nel vaccino risolutore. Sperare in Dio e intanto vivere alla giornata, racimolando quel che si può, facendo cassa con chi ama rischiare. Se è questo che i dimostranti vogliono, non vi è di che sperare che cambino idea e, poi, che restino una minoranza – come sono ora – anche se molto rumorosa.

Certo, è vero che molte categorie di lavoratori e commercianti sono in grande sofferenza ed è altrettanto vero che i bonus e gli aiuti che il governo appronta sono ben lontano dall’essere soddisfacenti. Non sono una manna e quando anche potessero convincere i meno ribelli, finirebbero per apparire alla lunga molto insufficienti. Non vi è purtroppo una soluzione mediamente soddisfacente nel breve periodo. E allora, che fare? O ritornare alle misure draconiane e non fare proprio nulla. Sembra dunque che la mezza misura sia proprio quella più indigesta.

Si può certo cercare di andare alle origini di questa catena di rivolte: anni di stress economico, di disoccupazione cronica in diverse aree del paese e tra le fasce più giovani della popolazione; anni di demolizione del servizio sanitario pubblico da parte di governi centrali e regionali che hanno fatto scelte di dimagrimento di presidi di medicina di base e territoriale per premiare i centri d’eccellenza. Si tratta di argomenti ormai molto familiari a tutti e noi, e sacrosanti.

Dopo di che, ora, nell’immediato del virus che dilaga, queste ragioni si fermano impotenti di fronte al fatto del che fare. L’alternativa, a meno di non concludere che il Covid-19 è inesistente, è o quella italiana della scorsa primavera o quella di Trump e Bolsonaro.

Quest’ultima suggerisce di affidarsi a Dio e al destino -- del resto morire si deve prima o poi e non vi è proprio nulla da fare. Attentendo che il virus se ne vada (dove?) o che gli scienziati approntino il vaccino, viviamo dunque secondo le nostre normali abitudine. Questa soluzione sarebbe accettabile per chi si ribella alle misure del governo?

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