La vicenda di Novak  Djokovic apre una serie di questioni di un certa serietà, che rischiano di finire nell’oblio regalato da nuovi tronfi sportivi e dalla capacità propria dello sport di sciogliere le macchie sulle uniformi degli sportivi alla velocità di un giro in lavatrice. 

Come prima cosa, Djokovic non ha chiarito alcuni passaggi della vicenda. Il primo è quello relativo alle sue uscite pubbliche a Belgrado (il 16 e 17 dicembre) nei giorni della sua presunta positività (che sarebbe iniziata il 16).

C’è poi un video che lo ritrae in strada a giocare a tennis, il 25 dicembre. Su questo neppure mezza parola e, visto che ad accertare i fatti che coinvolgono l’eroe nazionale dovrebbero essere le autorità serbe, ho come il sospetto che fischietteranno allegramente.

Il secondo passaggio riguarda lo strano tempismo con cui Djokovic contrae l’infezione. Visto che la sua partecipazione all’Australian Open era prevista da tempo, come pensava di accedere alla competizione prima di infettarsi?

Perché il Covid lo ha avuto a un mese dall’inizio, è stato un evento inatteso, imprevisto (si suppone) , non ha mai detto «Non andrò in Australia perché non mi vaccino». Quali erano i suoi piani? Sarebbe interessante conoscerli. Perché così viene da pensare che ne avesse uno e molto preciso. Andato in porto.

Terza questione. La famiglia Djokovic. Roba da far sembrare sorelle e madre della Ferragni un gruppetto normale. Se c’è una cosa che i genitori degli sportivi non dovrebbero mai fare è diventare fan esagitati, imbarazzanti dei propri figli, con scene da circo Barnum (o da no-vax in piazza, mi verrebbe da dire) come quelle a cui abbiamo assistito in questi giorni. E poi discorsi da esagitati con deviazioni mistiche («è Gesù», «verità e giustizia!», «combatteremo in strada!») o idiozie paranoiche tipo quelle del fratello («Nole è vittima di bullismo»).

Poi uno si stupisce se alle partite di calcio dei pulcini ci sono genitori che si menano a bordo campo. Immaginatevi la vita del bambino Djokovic cresciuto nel culto della sua persona. Probabilmente avranno conservato i suoi denti da latte in una teca anti-proiettile.

Djokovic è adesso il primo vero idolo no-vax mondiale e di fama indiscussa. Un idolo forte, luccicante, idolatrato dalle folle, ora anche ammantato di eroismo perché si è dimostrato disposto a perdere faccia, soldi e lavoro in nome della sua “fede”.

Se è vero che gli sportivi di fama sono gli idoli più trasversali anagraficamente, socialmente, geograficamente, Djokovic è il più grande testimonial che si potesse trovare per la causa no vax. Per una qualsiasi causa.

Idolo no-vax

Giusto per chiarirci, nessuno sportivo al mondo del suo peso si è esposto per i vaccini quanto si è esposto lui per il diritto a non vaccinarsi, lottando per una questione di principio. E nessuno, tra i pro-vax in attività, lo ha fatto principalmente per paura di perdere qualcosa. Ecco, i no-vax escono vincenti nella guerra dei testimonial, adesso hanno il loro condottiero. Che farà proseliti e rinsalderà le convinzioni di decisi e indecisi, potete giurarci.

L’unica questione che potrebbe rimanere aperta e sfavorevole per il tennista è quella degli sponsor. Quanti avranno piacere ad avere ancora il loro logo sulle sue scarpe, racchette, maglie?

In quanti proporranno nuovi contratti e rinnoveranno i vecchi, sapendo che comunque, agli occhi dei pro-vax, è uno che sì, dona un milione di euro a un ospedale, ma poi forse non si fa scrupoli a girare col Covid e a non vaccinarsi, contribuendo a riempire quegli stessi ospedali?

Questa vicenda, infine, è un precedente scivoloso anche per il rigidissimo governo australiano, che da ora in avanti dovrà dimostrare di essere altrettanto rapido nello sbrigare i ricorsi dei cittadini respinti all’immigrazione.

Perché ho come la sensazione che se uno arriva in Australia da vincitore del torneo Open tartufo di Norcia, i contenziosi non si risolvano così rapidamente.

Naturalmente, mi auguro che giochi e venga battuto da un vaccinato di 19 anni. Ma non dimentichiamo che è Gesù, probabilmente ha la resurrezione facile.

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