Dopo Turchia, Egitto e Arabia Saudita, anche l’Algeria chiede di aderire ai Brics. Se stati tradizionalmente e saldamente filo occidentali desiderano associarsi alla più importante organizzazione internazionale gestita da Cina e Russia, non si vede perché non debbano farlo paesi da sempre schierati su posizioni critiche o membri importanti dei non allineati (oggi G7).

Mentre l’occidente ha lo sguardo concentrato sulla guerra in Ucraina, alle sue spalle tutto sta cambiando. La Cina prosegue la sua sfida con gli Stati Uniti per contendere il ruolo di potenza globale (le ultime notizie sul previsto viaggio della speaker Nancy Pelosi a Taipei hanno riacceso la contesa).

Ma è soprattutto Mosca che si dà molto da fare per riequilibrare a proprio vantaggio ciò che resta del multilateralismo. Un Brics più forte permette di contrastare l’influenza del G7, forse anche di un G20 mai davvero decollato.

La presidenza Trump

Con la presidenza di Donald Trump il G7 aveva perso rilievo: il presidente repubblicano preferiva gestire le relazioni bilateralmente e transattivamente.

Oggi “The Donald” dice ai suoi elettori che, con lui alla Casa Bianca, la guerra in Ucraina non ci sarebbe stata. Mentre i democratici ne hanno fatto una battaglia ideologica, Trump la considera un’inutile perdita di energie e un colpo inferto al mercato globale.

Anche la Nato pareva al leader repubblicano una macchina obsoleta: minacciava di abbandonarla se gli alleati non avessero rispettato l’impegno a portare al 2 per cento del Pil il valore della spesa militare.

L’idea di Trump era un’America imprevedibile e rapida a muoversi da sola senza i condizionamenti delle alleanze. «Nessuno saprà come potremo reagire: saremo imprevedibili» sosteneva davanti agli interdetti europei.

La presidenza Biden

Con l’elezione del democratico Joe Biden tutto è cambiato: gli Usa paiono tornati quelli di sempre, rassicuranti e legati ai loro alleati storici. Le relazioni transatlantiche sono di nuovo in auge con uno scostamento geopolitico di prima grandezza: l’avversario strategico resta la Cina ma la Russia è il nemico.

Nelle intenzioni dei democratici Usa la guerra in Ucraina serve ad assestare un colpo definitivo alla potenza russa e, di conseguenza, a indebolire la Cina che ne dipende da un punto di vista della tecnologia militare.

Come effetto di tale politica, anche in Europa si assiste a uno scivolamento delle influenze: oggi conta di più Varsavia che non Berlino; Stoccolma e Helsinki contano più di Parigi. Fin qui tutto possiede una sua logica, anche se il dibattito è ancora aperto com’è giusto che sia tra democrazie. 

Gli interessi dell’Ue

Ciò che resta indefinito è l’impatto che tale svolta può avere sul resto del mondo. Un globo progressivamente diviso tra “the West and the rest” non dovrebbe andar bene agli europei che hanno un’economia molto più estroversa di quella degli Usa e hanno necessità di commerciare con tutto il mondo.

Gli Usa contano più sul loro mercato interno; la Cina ha scelto di fare lo stesso. Al contrario un contesto di crescenti tensioni internazionali non sono nell’interesse dell’Ue sia dal punto di vista sia economico che geopolitico.

Nelle cancellerie di Francia e Germania (per ora l’Italia è assente vista la caduta di Mario Draghi) si teme che siano lasciati troppi spazi a influenze negative anti occidentali o anti europee.

Il recente viaggio del ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha mostrato una crescente capacità russa nella presenza politico-commerciale. Ricevendolo a Kampala, il presidente ugandese Yoweri Museveni ha dichiarato senza mezze parole: «Come possiamo noi ugandesi essere contro qualcuno che non ci ha mai fatto del male e ci ha sempre aiutato? Noi non crediamo di dover essere nemici del nemico di qualcun altro…».

Molti paesi sub sahariani non hanno criticato l’aggressione all’Ucraina e alcuni, come il Camerun, siglano accordi di partenariato militare con Mosca. Allo stesso tempo l’atteggiamento di grandi paesi come il Brasile e l’India restano ambigui.

Di fronte a tali sfuggenti scenari, numerosi opinionisti occidentali gridando allo scandalo o al tradimento. Ma dal punto di vista geopolitico ciò che sta accadendo è più complesso di una battaglia di puro schieramento.

La guerra in Ucraina mette in evidenza tendenze che stavano emergendo sin dal volgere del Millennio. L’unipolarità del mondo basata sul pensiero unico neo-liberista, non è mai stata accettata dal punto di vista internazionale.

Per anni si è creduto che a ribellarsi fossero solo i No-global nostrani, i terroristi (in particolare islamici) e le minoranze etniche o culturali. Ma l’opposizione, a quella che è parsa a molti un’occidentalizzazione forzata del pianeta, era molto più ampia.

Non si dibatte, si combatte

Com’è noto la Cina ne ha approfittato per modernizzarsi, riuscendo ad associare il sistema dell’economia di mercato al suo immutato modello politico. Malgrado tutti i tentativi fatti per adattarsi al nuovo mondo emerso dopo la guerra fredda, molti paesi – come la Russia ad esempio – hanno mantenuto viva l’idea che fosse meglio un pianeta dove l’equilibrio globale risultasse da un bilanciamento multipolare delle influenze.

Con la guerra in Ucraina – ma prima ancora con quella di Siria o altre – la dialettica su quale visione debba prevalere è divenuta rovente e pericolosa. Non si dibatte più, si combatte. Di conseguenza molti paesi hanno deciso di non schierarsi, di sospendere il giudizio ed attendere di vedere chi prevarrà.

L’atteggiamento prevalente in Africa non è transitare da un’influenza a un’altra: è piuttosto quello attendista di chi resta in bilico senza scegliere, finché ciò sarà possibile. In tale esercizio Mosca oggi sembra favorita: le basta ottenere una posizione neutrale.

Per reagire con efficacia, l’Europa dovrebbe farsi paladina di una nuova visione multipolare, diversa sia da un unipolarismo ormai superato che dal solo bilanciamento delle influenze basato sui rapporti di forza.

Ciò che serve è un nuovo multilateralismo progressivo, che tenga conto delle esigenze diverse dei vari continenti dentro il quadro comune delle urgenze dell’ambiente e della pace. 

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