«Mi licenzio, ho vinto un concorso». Questa settimana è partita così, con l’amica giornalista Clara Salzano che lascia una nota testata per trasferirsi da Milano a Roma, «vado al ministero dei Beni culturali, soprintendenza speciale», dice con gli occhi che brillano, mentre io sono sul motorino per andare a una cena.

Sono riuscita solo a farle i complimenti, ma al secondo semaforo già volevo implorarla: «Clara fermati, ma dove vai?». E al terzo farneticavo che la parola concorso, a Milano, non l’ho mai sentita pronunciare. Nel mio dialogo immaginario sono riuscita a prendermela perfino con Stefano, il suo fidanzato, che le ha dato l’anello e fatto promettere che si sposeranno.

«Non potevi farlo prima?», pensavo, già meno preoccupata per lei e più di noi, anime perdute, che rimaniamo: ministero batte vita a Milano, uno a zero.

UNA BIRRA, ANZI TRE

L’unica certezza stasera è il Mom. Per anni questo bar è stata l’estensione di casa mia. Al punto che a una festa di Natale ho perso la patente e me l’ha restituita un ragazzo a metà gennaio quando mi ha rivisto entrare.

«Dalla foto ho capito che eri tu», mi ha detto. Sono sempre arrivata qui a orari improbabili con gli amici cronisti, da Giacomo Amadori a Gianluigi Pardo, da Zornitza Kratchmarova “la bulgara”, a Francesco Vecchi quando faceva lo sport e Marco Pedersini gli esteri.

Ma l’unico che rivorrei adesso è il collega e scrittore Gianluca Ferraris, con cui m’incontravo per una birra che diventavano tre, forse quattro. Chissà cosa direbbe di una collega che ci lascia per un ministero. Gli dedico uno shot.

DA CIPRIANI

Trovo rassicurazioni il giorno dopo nella collega Amaranta Pedrani. Lei, esperta d’arte e compagna di bevute al bar Basso, ha incontrato sulla metro di Parigi il fotografo Sebastiao Salgado e ci ha conversato a lungo.

L’argomento che li teneva incollati era il Brasile, paese che lei aveva appena visitato e in cui lui ha una fazenda, a Minas Gerais. «Per sopravvivere conta soprattutto conoscere i codici silenziosi, quelli sociali e comportamentali», spiegava l’artista che ha vinto non so quanti World Press Photo.

Saper decifrare chi si ha di fronte è un talento, e l’amica Giulia Pittini, nipote di Arrigo Cipriani, ce l’ha. Per osmosi ha respirato l’aria di Hemingway e Montale che all’Harry’s bar erano di casa, e questo vale di sicuro più di un master. L’altra sera mi ha invitato a bere un Bellini da lei, a Casa Cipriani, member club nato a Milano mesi fa.

Mi sono vestita bon ton perché l’abbigliamento deve essere consono - quindi no al beanie, anche se è in edizione limitata – e c’è l’obbligo alla discrezione – quindi no alle foto. Posso solo dire che al terzo piano, al bar chiamato Il Socialista, conversava il più famoso cacciatore di teste di finanza con due industriali. E alla fine è passato anche un ex giovane ministro.

IL CASTING DI PECHINO EXPRESS

Le prossime settimane Milano sarà frenetica. Prima per il Miart, la fiera dell’arte contemporanea, e a seguire per la Design Week. «Ma in questa non succede niente», dicono i tassisti. Io ne approfitto per andare dal chiropratico Joseph Luraschi che mentre mi rimette a nuovo confessa: «Vorrei arrivare al papa». Dopo due richieste di raccomandazioni per Pechino Express questa mi suona nuova.

Anche il mio karma mi sta parlando, perché quando accetto l’invito a cena dell’amico Giovanni Corrado, alla Libera, mi trovo di fianco Angelica Lato, produttrice di Junk, Armadi pieni, documentario sullo smaltimento dei vestiti usati. È un tema che riguarda tutti, so che dovrei prendere una posizione ma non sono ancora pronta. «Non posso ancora permettermi la tua amicizia Angelica», penso in motorino verso casa.

REGISTI IN PLATEA

A letto mi torna in mente la scena più drammatica del film Mia, storia di revenge porn e amore tossico, visto nel pomeriggio all’Anteo. Edoardo Leo interpreta un padre che vuole uccidere l’ex fidanzato della figlia, che l’ha spinta al suicidio.

Gli si para davanti Vinicio Marchioni, che interpreta il genitore del ragazzo: «Capisco il tuo dolore, uccidi me», urla. Il film finisce, le luci si accendono in sala e inizia il talk col regista Ivano De Matteo e gli attori. Seduto in platea c’è anche un altro regista, Paolo Genovese, che è a Milano per lavoro. Ma sono certa che è la sua storia personale ad averlo portato lì. Talvolta i codici silenziosi non lo sono poi così tanto. E io non prendo sonno.

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