Mentre si discute di come migliorare e velocizzare il piano vaccinale, nonostante l’arrivo dei vaccini, si dovranno seguire tali restrizioni ancora per molto tempo. Quello che colpisce è che mentre le indicazioni sulle restrizioni al comportamento di tutti noi hanno seguito l’expertise e evidenza scientifica dal punto di vista epidemiologico e medico, non si è deciso di includere invece l’evidenza disponibile dal punto di vista delle scienze comportamentali.

Il modello implicito di comportamento assunto da un intervento pubblico è fondamentale per determinare il suo successo. Ad esempio, se prendiamo il caso del fumo e sigarette. Tutti ormai siamo informati del danno che le sigarette producono eppure c’è chi continua a fumare.

È evidente che semplicemente dare informazioni corrette e accurate non basti. Quindi, per costruire delle indicazioni che abbiano una qualche probabilità di successo si dovrebbe partire dall’evidenza scientifica sul comportamento umano, questa esiste ma viene spesso ignorata, probabilmente perché c’è chi crede che basti la propria intuizione.

Tra i vari aspetti comportamentali che conosciamo, ognuno di noi è soggetto a una risorsa limitata di capacità cognitiva. Vale a dire, la nostra «banda cognitiva» è limitata e quando essa viene a esaurirsi, può verificarsi un altro fenomeno comportamentale, l’effetto di violazione dell’astinenza. Quest’ultimo si applica quando le persone adottano un approccio tutto o niente al comportamento a rischio. Possiamo definirlo, più colloquialmente, come effetto «al diavolo!», è particolarmente pericoloso quando tutti noi soffriamo di stanchezza pandemica.

Ecco l’idea di base: quando si imposta l’astinenza completa come unica misura di successo, ogni scivolamento può sembrare la fine di ogni progresso.

Questo rende i piccoli lapsus — che sono estremamente comuni quando si cerca di cambiare un comportamento — molto più pericolosi. La persona pensa: «Ho già fallito, che senso ha?». E poi, ad esempio durante una dieta, un dolcino diventa un vassoio.

Esiste un approccio diverso per evitare il rischio di questo fenomeno.  Danno la priorità alla sicurezza nelle situazioni più pericolose, senza aspettarsi la perfezione a ogni secondo. Se si fallisce, si esamina ciò che ha portato a ciò e si usano queste informazioni per fare meglio la prossima volta. Si cerca un cambiamento positivo, piuttosto che punire sé stessi.

In che modo questo vale per il Covid- 19? Potrebbe significare essere meno preoccupati della trasmissione attraverso le superfici, ma essere diligenti nell’indossare le mascherine. Potrebbe significare permettersi di fare occasionalmente un picnic all’aperto con gli amici, ma rinunciare a cenare al chiuso nel vostro ristorante preferito. Individuate dove il rischio è più elevato e concentrate i vostri sforzi lì, conservando risorse cognitive per quando è più necessario.

Dare tante indicazioni di comportamento senza indicare le priorità non aiuta le persone a gestire la limitata quantità di risorse cognitive che ognuno di noi, specialmente in un periodo di seconda ondata ancora in corso dopo averne vissuta già una molto dura.

È possibile progettare delle indicazioni tenendo conto di questi colli di bottiglia comportamentali, tenendo conto che bisogna aiutare le persone a fare la giusta scelta nel momenti critici di potenziale esposizione al contagio. 

La definizione di priorità nei comportamenti protettivi come il comportamento giusto negli scenari più comuni della vita quotidiana in tempi di pandemia sono un punto di inizio.

Si è parlato di un possibile rinnovo del comitato tecnico scientifico nazionale sull’emergenza COVID-19. Le competenze ed esperienze sopra descritto sarebbero necessarie in questo comitato, altrimenti le migliori intenzioni non si tradurranno nei risultati sperati.

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