Se il virus muta, che muti anche la risposta dell'economia. Lo chiede un rapporto del G30, gruppo di autorevoli economisti con importanti esperienze istituzionali, presentato il 14 Dicembre da Mario Draghi e da Raghuram Rajan, ex governatore della Bank of India; occorre sostituire, dicono, l'iniziale soccorso di liquidità a pioggia, passando a sostenere solo le imprese con valide prospettive. Altrimenti una domanda in calo sarà vanamente contesa alle sane da quelle malate. Visto che in queste le insolvenze cresceranno, mettendo a rischio il finanziamento della ripresa, van facilitati gli aumenti di capitale per ridurre il debito.

Serve anche sveltire e unificare le norme sulle crisi d'impresa, eliminando lo stigma del fallimento, sul modello del Chapter 11, che protegge le imprese Usa insolventi agevolandone la ripresa.

Attuare la proposta sarà arduo, anche solo per omogeneizzare i regimi delle crisi, diversi fra Paesi; è una meta antica mai raggiunta, Sacro Graal dei regolatori. Soprattutto, smontare crediti e garanzie statali costerà caro politicamente. Specie perché da noi non attecchisce l'idea che, date le risorse limitate, ogni misura ha costi da pagare e impatti, di lunga lena, anche imprevedibili; quasi riguardi solo “altri”, peccato che questi siano i nostri figli e nipoti.

Bisogna discriminare fra imprese, evitando però misure troppo indistinte: ucciderebbero anche chi può farcela.

La fragilità del sistema europeo

In Europa le imprese sono finanziate per due terzi dalle banche, un terzo dal mercato. Di qui la maggior fragilità del nostro sistema rispetto agli Stati Uniti, ove i rapporti sono rovesciati. Il crollo anche di poche imprese, che può metter in ginocchio una banca con effetti gravi sul sistema, è invece assorbito dal mercato finanziario senza drammi.

Se poi valgono sul mercato, come ora, metà del capitale netto contabile, le banche quotate restringono l'attivo, quindi il credito; per non mettere i soci davanti al dilemma fra esser diluiti o seguire aumenti di capitale, strozzano l'economia.

Come gestire allora i crediti deteriorati o Non Performing Loan (Npl), che aumenteranno alla scadenza di garanzie pubbliche e moratorie?

La dotazione patrimoniale delle banche è molto cresciuta dal 2008, ma la mole dei nuovi crediti deteriorati sarà ingente; addolcire i requisiti è solo un palliativo, cambiare termometro non scaccia la febbre.

Per la Bce, la crisi da Covid potrebbe far salire i Npl dell'Eurozona a 1400 miliardi di euro, oltre l'importo raggiunto dopo la crisi finanziaria.

Il problema è vecchio; nel suo minimo, oltre quindici anni fa il sottoscritto propose che le banche li conferissero in cambio delle quote di un grande fondo, affidandone la gestione a manager esterni.

Così avrebbero smesso di beccarsi come i polli di Renzo. Il contrasto d'interessi fra banche e manager - remunerati soprattutto con il realizzo dei Npl - avrebbe garantito valutazioni realistiche.

Se oggi avessimo un vero mercato di Npl, le banche potrebbero cederli, per valori adeguati, a numerosi operatori in concorrenza fra loro; questi invece, essendo pochi, possono ottenere rendimenti altissimi, estraendo valori rilevanti dalle banche. Perciò essi avversano la nascita di una nuova grande bad bank, che li spiazzerebbe.

La proposta di Enria

Come risolvere il nodo Npl prima che si aggrovigli troppo? Nei giorni scorsi la Commissione Ue ha presentato un “piano d'azione” per ridurre, con il peso delle insolvenze, l'ostacolo all'espansione del credito.

Definirlo timido è poco; bloccato dalla paura del contagio delle perdite dal Sud al Nord Europa, va poco oltre l'auspicio che delle bad bank nazionali si scambino dati sugli Npl e ne promuovano un mercato secondario.

Anche questo piano auspica l'avvio di regimi uniformi per le crisi e il realizzo delle garanzie, il Sacro e remoto Graal. 

Va bene provarci, ma un piano simile va affondato perché mette da parte  i due veri nodi. Il primo è nei valori a cui le bad bank rileveranno i Npl, il secondo nel loro finanziamento.

Se i valori d'acquisto son troppo bassi, le perdite delle banche imporranno massicci aumenti di capitale, con le negative conseguenze viste; se troppo alti, smisteranno solo la perdita alla bad bank.

I conseguenti oneri finanziari dipenderanno dal rating dello Stato, vieppiù accentuando il circolo vizioso fra banche e Stati e le segmentazioni per nazione.

Può recidere questi nodi gordiani una proposta di Andrea Enria, presidente del Single Supervisory Mechanism (Ssm), braccio della Bce per la vigilanza.

Convinto assertore di una risposta europea integrata, ma preso atto dell'opposizione dei “frugali” ad una sola bad bank nell'Eurozona, Enria propone di creare società nazionali, costruite su due solidi pilastri, per gestire quei crediti.

Anzitutto, criteri omogenei di valutazione dei crediti per ridurre a limiti minimi i rischi di perdite; poi il loro finanziamento dovrebbe venire, o essere garantito, da un'entità unica per tutta l'eurozona.

Così calerebbero e sarebbero omogenei i loro costi, abbassando ancora i rischi di perdite. Quelle che comunque vi fossero dovranno gravare sullo Stato d'origine.

L'economia ripartirebbe, attutendo in parte l'onere del pregresso, arrestando la segmentazione dei mercati nazionali e la connessa divergenza fra Paesi nei costi (e nella stessa disponibilità) di finanza.

Per spingere alla ristrutturazione un sistema ancora ipertrofico, Enria vorrebbe limitare lo schema solo a banche aventi modelli di gestione economicamente validi, ma l'idea è osteggiata da chi teme una vigilanza invasiva.

La proposta va sostenuta adeguatamente per sciogliere il contrasto ora sopito, ma sempre vivo, fra Nord e Sud su come trattare i rischi. Le frugali formiche li condivideranno solo quando le imprevidenti cicale li avranno ridotti, ma per queste ridurli davvero è impossibile finché il campo di gioco è sbilanciato, anche per la mancanza di un'assicurazione europea dei depositi.

Cosa conviene all’Italia

Si noti che, in attesa di questa, la nuova versione del Mes, tanto avversata, rimpingua e anticipa le risorse del fondo per la risoluzione bancaria; questa rete di salvataggio interessa tutti, noi non meno di altri. Solo così l'unione bancaria funzionerà.

Il governo si dia un obiettivo concreto e ottenibile su cui concentrare gli sforzi: bocciare un piano d'azione che non agisce, promuovendo invece alleanze sul piano di Enria. Così il sistema può ripartire senza impitonarsi nella laboriosa digestione di un passato che speriamo alle nostre spalle.

Su Roma, dove fu firmato il Trattato originario della Ue, gravano grandi responsabilità. A seconda dei suoi risultati effettivi, il Next Generation Eu può essere un'occasione perduta o una svolta storica. Può restare “provvidenza” una tantum legata al Covid, o proiettarci verso modi di lavoro e strumenti concreti funzionali alla “ever closer Union”, ora che il Regno Unito davvero se ne va.

L'esito dipenderà da come gestiremo il Ngeu; sta a noi far retrocedere l'unione o avviarla a sviluppi storici.

Dobbiamo capirlo noi perché lo intendano i politici che eleggiamo. Se non saremo all'altezza, non passeranno altri treni; bisogna alzare lo sguardo dal cortile domestico.

© Riproduzione riservata