Donald Trump ha tirato troppo la corda.  Anche tra i maggiorenti del partito Repubblicano, a partire dal suo vice Mike Pence, la sua condizione è molto precaria; con l’eccezione di alcuni tra loro, come Ted Cruz, che spera forse di prendere il posto del tycoon alla guida di quella fetta – larga, per la verità – di elettori che crede che le elezioni siano state rubate. 

Ma per ora Trump è alle corde, e la discussione è a questo punto se processarlo “per incapacità” a esercitare la sue funzioni, secondo i termini del venticinquesimo emendamento alla Costituzione.  

Trump torna a promettere che svolgerà al meglio la sua funzione nelle due settimane che gli restano, e seguirà la procedura del passaggio di consegne, il 20 gennaio prossimo.  Ma intanto continua a chiamare alla sua “meravigliosa” parte come a mobilitarla e non è detto che non abbia in serbo altre sorprese.

E’ difficile dire se il giorno dell’inaugurazione sarà solo il giorno di Joe Biden o anche quello di Trump. Le sue sono promesse di pulcinella. Del resto ha tanto da ottenere – la grazia per i suoi reati fiscali – e prevedibilmente può pensare di usare tutto il potere di disturbo che ha.

A Trump o si crede senza riserve o non si crede affatto. Non consente vie di mezzo.  La fede, non la fiducia, è il legame che ha stabilito con i suoi seguaci, una fede cieca. Lo si è visto nel corso dell’assalto al Congresso: gli hooligan urlavano le stesse cose che Trump stava dicendo da mesi: che lui era il presidente “vero”, solo lui. 

La rappresentanza populista è fondata su un principio molto chiaro: incorporazione del popolo – quello “vero”—nella figura, nelle parole, nella narrativa del leader, che è uno e sta sopra il partito.  L’identificazione del popolo populista con il leader è siglata e cementata dalla fede: atti di fede, senza riserve.

Questo segna il destino di Trump. Un leader che costruisce la narrativa della sua candidatura e poi presidenza sul “dubbio” che le opposizioni siano nemiche assolute e che l’unico modo per mettere in sicurezza il popolo sia conquistare le istituzioni, un tale leader si avvia verso una strada impervia, poiché non riconoscerà mai la legittimità dell’alternanza – il voto se non corrisponde al volere del popolo “vero” sarà fasullo. Il popolo populista ha sempre ragione. Le regole valgono solo se si vince.

Questa terribile logica che non conosce fallibiltà, che non conosce la possibilità di errore o semplicemente la sconfitta, che carica di dubbio tutto ciò che non corrisponde alle proprie convinzioni, è diffusa largamente tra gli elettori di Trump.  

Il sondaggio pubblicato da YouGov martedì scorso mostra che il 45 per cento di chi ha votato Trump condivide l’attacco al Campidoglio, mentre il 43 per cento dice di opporsi “fortemente”. Al contrario, una largissima maggioranza (il 96 per cento) di chi ha votato Democratico si dice fortemente contraria all’attacco al Congresso.  Come si vede, metà degli elettori repubblicani è dentro la narrativa trumpista. 

Con Trump decaduto, la sfida resta allora molto impegnativa sia per il partito repubblicano che per quello democratico. La sfida è questa: come re-indirizzare l'ideologia fondamentalista dei trumpisti (che ha la sua origine nel Tea Party, sorto per contestare la legittimità dell’elezione di Barak Obama perchè non nato su suolo americano, un dubbio mai sciolto) in modo da liberarla della ruggine del dubbio radicale che alimenta l’anti-istituzionalismo?

Recuperare la fiducia nella legittimità delle istituzioni sarà un lavoro duro e lungo.

Le scelte politiche possono però accelerarlo. Grazie alla vittoria nelle elezioni senatoriali della Georgia, l'amministrazione Biden avrà un Senato amico e nel prossimi due anni, fine alle elezioni di mid term, potrà sfornare politiche sociali, sanitarie e scolastiche coraggiose. Politiche che riportino la fiducia nelle istituzioni in quella parte della popolazione che è stata intercettata dai repubblicani radicali e da Trump.

Il “fare” diventa a questo punto la carta vincente – poiché se un trumpista non crede a quel che dicono gli avversari, forse crederà al cash, alla convenienza.

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