Il nuovo decreto-legge ha prescritto l’obbligo vaccinale per il personale sanitario, come richiesto da più parti nei mesi scorsi. Se sul piano etico e civile il “dovere” di vaccinarsi era indubbio, sul piano del diritto mancava una norma che sancisse un obbligo generalizzato. La Costituzione (art. 32), che definisce la salute come «fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività», afferma infatti che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Inoltre, la salute è un bene non solo individuale, ma sociale: ciascuno può valutare cos’è meglio per sé, ma non è libero di nuocere alla salute altrui.

I tentativi precedenti

Qualcuno aveva sostenuto che, anche senza una legge ad hoc, i datori di lavoro avrebbero potuto chiedere al personale sanitario di vaccinarsi. Ciò nel presupposto, da un lato, che il datore deve tutelare in ogni modo la salute dei lavoratori (art. 2087 c.c.); dall’altro lato, che la protezione della salute dei pazienti connota la prestazione di medici e infermieri, quindi impronta il loro contratto. Questa impostazione aveva generato contenziosi giudiziari nelle settimane scorse.

Un’altra norma su cui basare un obbligo vaccinale anti-Covid era stata rinvenuta nel Testo Unico Salute e Sicurezza (d.lgs. 81/2008, art. 279): quando vi sia specifica esposizione ad agenti biologici – com’è il SARSCoV-2 - il datore di lavoro, «su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive», fra le quali «la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni».

Qualora il lavoratore rifiuti il vaccino e da ciò discenda un’inidoneità alla mansione, la norma ne prevede l’«allontanamento temporaneo». Ma l’ambito della disposizione è limitato a chi lavori a diretto contatto con il virus, e non a chi corra solo un potenziale pericolo di contatto accidentale.

Altri avevano fatto discendere l’obbligo di vaccinazione dai codici di deontologia. Ma questo sarebbe stato un modo surrettizio per un’imposizione che può essere sancita solo per legge.

Sulla questione era intervenuto pure il garante della Privacy: in mancanza di un obbligo vaccinale sancito dalla legge, il datore di lavoro «non può acquisire, neanche con il consenso del dipendente o tramite il medico competente, i nominativi del personale vaccinato», perché ciò non è consentito né dalla disciplina in tema di salute e sicurezza sul lavoro (salvo le citate ipotesi di esposizione diretta ad agenti biologici) né dalle disposizioni sull’emergenza sanitaria.

Il nuovo decreto legge

Con il nuovo decreto legge, l’obbligo vaccinale si sposta dal piano privatistico dei singoli rapporti di lavoro a quello generale: gli operatori sanitari che svolgono la propria attività in strutture pubbliche e private, farmacie, studi professionali ecc. sono obbligati a vaccinarsi. 

Entro cinque giorni dall’entrata in vigore del decreto, ordini professionali e datori di lavoro trasmettono i nominativi degli operatori sanitari alle regioni, che entro dieci giorni verificano chi non sia vaccinato e ne inviano comunicazione alla azienda sanitaria locale. Quest’ultima avvia un procedimento di accertamento con i diretti interessati, che può concludersi con l’invito a sottoporsi alla vaccinazione.

Il mancato assolvimento dell’obbligo comporta la sospensione da attività «che implicano contatti interpersonali»: il datore di lavoro «adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, (…) che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio». E, ove non possibile, è prevista la sospensione dalla retribuzione «fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021».

Nonostante al momento non sia ancora dimostrato che il vaccino blocchi la trasmissione del virus, si è reputato - anche in considerazione delle evidenze scientifiche già disponibili – che l’interesse a tutelare precauzionalmente la salute dei pazienti sia prevalente rispetto alla libertà di non vaccinarsi.

Il governo ha, quindi, considerato la vaccinazione come «requisito essenziale», operando a monte una valutazione di “non idoneità alla mansione” degli operatori del comparto sanitario inadempienti all’obbligo. Per essi non è previsto il licenziamento:questa conseguenza definitiva non è stata ritenuta proporzionata a un evento – il Covid - reputato transitorio, anche la sospensione si protrae al massimo fino a fine anno.

Criticità della nuova norma

La vaccinazione potrà essere omessa o differita solo in caso di accertato pericolo per la salute dell’operatore sanitario, attestato dal medico di medicina generale. In questo caso non sono previste conseguenze in ordine all’attività svolta: sarebbe stato meglio prevedere l’allontanamento del non-vaccinato, ma senza conseguenze penalizzanti.

Il sistema di comunicazioni tra sistemi informativi di regioni, aziende sanitarie, ordini professionali e datori di lavoro, per accertare «lo stato vaccinale», appare complesso e ridondante, e potrebbe comportare ritardi sui tempi rapidi e rigorosi indicati dalla norma.

Ma la previsione che più lascia perplessi è quella che protrae al massimo fino al 31 dicembre 2021 la sospensione dalla retribuzione per chi non voglia vaccinarsi. Da un lato, le limitate conseguenze derivanti dal mancato adempimento dell’obbligo vaccinale fanno sì che la norma appaia debole, cioè sguarnita da una efficace deterrenza circa il rifiuto del vaccino. Ciò potrebbe ripercuotersi negativamente sull’assolvimento dell’obbligo stesso e, quindi, comportare sospensioni lavorative, con la necessità di provvedere alla sostituzione del personale sospeso.

Dall’altro lato, è singolare la fissazione a fine anno del termine delle “penalizzazioni” derivanti dal rifiuto di un vaccino che potrebbe necessitare di richiami, cioè di ulteriori somministrazioni a fini di immunizzazione, come avvertono gli scienziati, secondo i quali il virus non è destinato a scomparire in pochi mesi.

Il decreto prevede anche uno “scudo penale” per il personale adibito alle vaccinazioni, con efficacia retroattiva, quindi anche per fatti avvenuti prima dell’entrata in vigore del decreto. Una necessità, visto che, a seguito di alcuni decessi, nelle settimane scorse erano stati iscritti nel registro degli indagati i somministratori. L’apertura del fascicolo - senza nemmeno valutare prima l’esistenza di un qualche nesso di causalità tra vaccino e decesso - rischiava di dissuadere medici e infermieri dall’effettuazione delle inoculazioni. Ciò avrebbe messo a repentaglio la campagna vaccinale. Ora, in presenza di condizioni più favorevoli, ci si augura che quest’ultima possa davvero decollare.

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