Le dichiarazioni di politici abili come Dario Franceschini vanno sempre prese sul serio perché qualcosa significano anche quando vanno decodificate. Quelle a cui la stampa ha dato grande risalto ieri suonano contraddittorie ed è abbastanza strano che nessuno lo abbia sottolineato. L’enfasi era tutta sulla affermazione secondo cui «se il M5S stacca la spina a Draghi, finisce l’alleanza giallo-rossa».

Come a dire che il bene supremo da difendere, per il Pd, per Conte e per il paese, è il “campo largo”. Però il secondo messaggio chiave era: «serve il proporzionale, per fare chiarezza».

Le alleanze stabili tra partiti si formano se c’è una convenienza prodotta dalla legge elettorale. Con la legge Rosato (criticata senza mai spiegare esattamente perché, in quanto ai più basta strizzare un occhio e ricordare che è stata scritta da un renziano, dunque, deve essere per forza una roba brutta) 74 seggi del Senato (su 200) e 147 seggi della Camera (su 400) sono assegnati in collegi uninominali.

Gli altri sono assegnati con metodo proporzionale. Quasi come con la legge Mattarella, da sempre ammirata dagli ulivisti prodiani, nella quale la prima quota (uninominale, maggioritaria) era però molto più ampia.

Con la Rosato, se una coalizione (ad esempio Fi-Lega+FdI) prende il 45 per cento dei voti ottiene circa 60 seggi alla Camera e 115 al Senato nella parte proporzionale (o qualcosa di più se vari partitini rimangono sotto la soglia di sbarramento).

Se nei 221 collegi uninominali i candidati di questa stessa coalizione si ritrovassero a competere con tre distinti candidati alternativi (ad esempio, di Pd+altri, M5s, Azione) che si dividono gli elettori del fronte opposto, potrebbe facilmente vincere in almeno il 60 per cento dei casi ottenendo la maggioranza assoluta dei seggi in entrambe le camere.

Con l’attuale legge, quindi, se una o più tra le ditte politiche di Calenda, Conte, Renzi, Di Maio, Fratoianni & Bonelli vanno da sole fanno un favore incerto a sé stesse (non è detto che superino la soglia sotto la quale sarebbero escluse dal parlamento, di sicuro non toccherebbero palla nei collegi uninominali) mentre ne fanno certamente uno bello grosso al centrodestra.

Effetto proporzionale 

Con una legge proporzionale cambia tutto. Ai potenziali protagonisti del campo largo tornerà più utile una strategia completamente opposta.

Ogni partito che abbia una minima consistenza sarà indotto ad andare per conto suo, per massimizzare il consenso di potenziali sostenitori che si aspettano dai leader accuse e prese di distanza nei confronti di tutti gli altri.

Così da poter rifare alleanze a geometria variabile dopo il voto, anche in contrasto con quanto giurato agli elettori. Quindi, se la legge sarà proporzionale, Conte dovrà staccare la spina a Draghi, formalmente o di fatto, qualche mese prima delle elezioni e riassumere Alessandro Di Battista, o assumerne con una ulteriore trasformazione la fisionomia.

Perciò, il senso del messaggio franceschiniano era plausibilmente questo. «Caro Conte, se vuoi (come noi) il proporzionale non puoi staccare la spina proprio adesso. Se lo fai sappi che si va alle elezioni anticipate con la legge attuale e dovrai mandare i tuoi candidati al massacro nei collegi uninominali perché noi non ti potremo prendere come alleato».

A meno che Franceschini non pensi a un sistema proporzionale con premio di maggioranza (ma non lo ha detto), le implicazioni sono opposte a quelle enfatizzate dai titoli di ieri.

L’unità del campo largo non è l’obiettivo, se l’obiettivo è prendere tempo per fare in modo che delle coalizioni stabili non ci sia più bisogno.

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