La partita del prossimo presidente della Repubblica è quella, davvero decisiva, in cui si decide il futuro dell’Italia. C’è un modo sicuro per indovinarla e c’è, purtroppo, più di un modo per sbagliarla. L’errore più grave sarebbe la riconferma di Mattarella. Sarebbe la seconda volta, di seguito, dopo quella di Giorgio Napolitano. Vorrebbe dire «normalizzare» l’idea, del tutto eccezionale, che da noi il presidente della Repubblica può essere rieletto per un secondo mandato. Inevitabilmente, Mattarella si dimetterebbe durante la prossima legislatura, che sarà probabilmente una in cui il centro-destra a guida Salvini-Meloni ha la maggioranza. Spetterà allora a questa destra eleggere il prossimo capo dello stato.

È appena il caso di ricordare il ruolo fondamentale che ha svolto, nel 2018, proprio Mattarella nel fermare la deriva sovranista dei giallo-verdi, che minacciava addirittura l’uscita dall’euro. Che cosa accadrebbe in futuro con una maggioranza dichiaratamente orbaniana, supportata da un presidente dello stesso colore? Il quale peraltro, visti i precedenti, potrebbe poi anche chiedere di essere rieletto? Ci metteremmo davvero su un crinale pericoloso, verso il modello ungherese o polacco.

La strada giusta è invece quella, nella sua logica lineare, diametralmente opposta. Mario Draghi è di gran lunga la figura più autorevole di cui l’Italia dispone e sta dando ottima prova di sé anche come premier. Proprio come Carlo Azeglio Ciampi. Merita di essere eletto presidente della Repubblica, più di ogni altra personalità. Dal Colle più alto, Draghi sarebbe la garanzia migliore per la gestione coerente del Recovery fund, anche nell’eventualità che a breve maggioranza e governo cambino di segno. E lo sarebbe più in generale per la tenuta democratica ed europeista del paese (oltre che finanziaria ed economica), qualora i sovranisti sostenitori della «democrazia illiberale» andassero al governo.

Con Draghi saremmo al sicuro, più che con chiunque altro. Questo semplice dato di fatto spiega perché la scelta di qualsiasi altra figura, magari autorevole, sarebbe comunque un ripiego. Un errore meno grave della riconferma di Mattarella, certo. Ma un errore. E la classe politica non può permetterselo, per come è messa l’Italia.

Si pone però un problema, su questa strada (a parte ovviamente la volontà del diretto interessato, tutta da verificare). Ed è la fine del governo di unità nazionale. C’è la possibilità che si vada alle elezioni con un anno di anticipo. Stante il taglio di un terzo dei seggi, e i cambiamenti nel consenso dei partiti rispetto al 2018, è probabile che la gran parte degli attuali parlamentari non verrebbe rieletta. Soprattutto nelle file di Movimento 5 stelle, Forza Italia e Italia viva.

Davvero molti di loro voteranno Draghi, nel segreto dell’urna, con il rischio di tornarsene a casa prima del tempo?

Tuttavia, non è detto che Draghi al Quirinale debba sciogliere subito le camere. Questa è una pagina ancora da scrivere. Presidente del Consiglio provvisorio sarebbe Brunetta, quale ministro più anziano. Quindi, Draghi dovrebbe avviare le consultazioni. Nell’attuale parlamento esiste una maggioranza di forze europeiste, nel senso che in Europa hanno votato per l’attuale Commissione, la cosiddetta «maggioranza Ursula»: Forza Italia, Italia viva, Partito democratico e Movimento 5 stelle, oltre ad alcuni gruppi minori. Peraltro, sono proprio i parlamentari di queste forze quelli che avrebbero le minori possibilità di essere rieletti, se si andasse al voto anticipato.

Avrebbero quindi tutto l’interesse a formare un nuovo governo: magari più coerente e centrato di quello attuale, senza i sovranisti orbaniani di Salvini; anche se più ampio del Conte II, aperto anche alle componenti liberali del centro-destra.

Un governo di questo tipo avrebbe anche una missione chiara, importante: portare a compimento il percorso delle riforme, avviato da Draghi per il Recovery ma che difficilmente si concluderà nei prossimi mesi. Fra le riforme, il mio auspicio è che si approvino anche una legge elettorale proporzionale e la sfiducia costruttiva sul modello tedesco (completando così e dando coerenza al taglio dei parlamentari varato nel 2020).

Con Draghi al Colle, insomma, non solo faremmo la scelta giusta per principio: è la personalità più autorevole e che più lo merita. Ma saremmo anche più fiduciosi di aver fatto il bene dell’Italia. Ora abbiamo bisogno solo di una classe politica un po’ lungimirante.

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