Aumentano i contagi, in Italia come in altri paesi. Così il governo corre ai ripari con il certificato Covid-19 (rilasciato a seguito di vaccinazione, guarigione, tampone negativo) per grandi eventi, cinema, teatri ecc., il cui uso potrà essere esteso in relazione al peggioramento della situazione epidemiologica.

La classificazione delle regioni in zone di rischio, peraltro, sarà valutata con parametri calibrati in modo diverso rispetto al passato. Il nuovo decreto-legge è il risultato di compromessi, e sarebbe bene che il governo chiarisse fino a che punto la soluzione normativa sia stata suggerita dalla scienza e in quale modo abbia, invece, pesato la discrezionalità politica. Come sempre, questione di trasparenza. Date le premesse poste dal nuovo decreto, quale autunno possiamo aspettarci?

Il green pass

Il certificato verde si pone sulla scia di quello “alla francese”, e il suo uso potrebbe essere reso più ampio, se fosse necessario, come detto. Le rassicurazioni del generale Francesco Figliuolo circa il raggiungimento della cosiddetta immunità di gregge entro settembre sono state superate dai fatti: evidentemente ciò non è più sufficiente. La presenza della variante Delta rappresenta un notevole pericolo, specie di pressione sulle strutture sanitarie, e ha reso necessario il nuovo intervento. La situazione economica è in miglioramento, e il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha detto in conferenza stampa che il nuovo provvedimento è anche volta a tutelarla, evitando nuove chiusure.

Dunque, l’uso del green pass sembra destinato a seguire l’evolversi dell’epidemia. Qualunque provvedimento limitativo di diritti dev’essere proporzionato alla gravità della situazione su cui interviene. Perciò l’imposizione della certificazione dev’essere graduale: resta la libertà individuale di non vaccinarsi, ma essa si riduce al crescere delle esigenze di tutela della salute collettiva. La Costituzione (art. 32) è chiara al riguardo. Ma forse l’approccio non potrebbe essere diverso anche per altri motivi.

Un uso ancora più ampio del pass discriminerebbe le persone ancora in coda per vaccinarsi, le quali dovrebbero di conseguenza pagare frequenti tamponi per svolgere attività quotidiane. In altre parole, con la previsione di un ricorso al green pass ancora più massiccio per lo svolgimento di una vita “normale” si introdurrebbe in via surrettizia una sorta di obbligo vaccinale. Ma ogni obbligo dovrebbe essere esigibile: in questo caso, consentendo a chi lo volesse di vaccinarsi immediatamente, per non doversi sobbarcare il costo di tamponi durante l’attesa, come detto.

Quindi, anche l’impossibilità di garantire il vaccino a tutti potrebbe aver indotto le scelte attuali nella prescrizione del certificato verde.

Come sarà verificata la immunizzazione di chi lavora nei locali per l’accesso ai quali serve il pass, dato che è precluso al datore di lavoro poterlo accertare? E se fosse il datore di lavoro a non volersi vaccinare? C’è poi un problema ulteriore, se nei ristoranti si potrà entrare con green pass attestante la prima dose di vaccino, e - come dicono gli scienziati - la variante prolifera, oltre che tra i non vaccinati, anche tra i vaccinati con una sola dose.

Non basta la vaccinazione

Con la previsione del certificato verde, il governo vuole, da un lato, incentivare alla vaccinazione, dall’altro, limitare la circolazione del virus.

Al momento, il pass non è condizione per accedere ove gli assembramenti sono quotidiani, e forse maggiori rispetto a grandi eventi, cinema, teatri ecc.: treni regionali, autobus, tram e altro. Circa questi ultimi non sembra che la situazione sia migliorata rispetto allo scorso autunno. E ciò fa pensare che, se è indubitabile che il vaccino rappresenti un presidio essenziale per arrestare la corsa del virus, esso costituisca anche una inevitabile toppa al buco rappresentato da altre carenze. Il problema del sovraffollamento dei mezzi pubblici, quindi, sarà dominante nel prossimo autunno, così come lo è stato in quello precedente.

Nei prossimi giorni, per il personale scolastico si valuterà l’ipotesi di rendere la vaccinazione condizione per l’esercizio della mansione, come già per gli operatori sanitari, al fine di non ricorrere alla didattica a distanza, come nell’ultimo anno e mezzo. Il generale Figliuolo ha chiesto alle regioni di comunicare, entro il 20 agosto, il numero dei non vaccinati in quest’ambito.

Premesso che tale obbligo sarebbe legittimo, anche in questo caso - come per i trasporti - ci si chiede cosa sia stato fatto rispetto all’anno scorso per mettere in sicurezza le scuole: ad esempio, quanto a ventilazione e altri rimedi che, come affermano gli scienziati, attenuano il rischio di contagio da SARS-COV2. Ricorrere all’obbligo vaccinale senza essersi adoperati per ridurre la possibilità di diffusione del virus resta una soluzione parziale – basti solo pensare alla popolazione scolastica che per limiti di età non può vaccinarsi – oltre che una toppa, come per i mezzi pubblici, per ovviare a carenze strutturali, impiantistiche e tecnologiche.

Proroga dello stato di emergenza

È stato prorogato lo stato di emergenza. Nonostante il virus e la sua pericolosità siano ormai noti da oltre un anno e mezzo, restare in emergenza vuol dire che c’è una situazione inattesa o della quale non è prevedibile l’evoluzione. In altre parole, la proroga significa che si naviga ancora a vista, perché non si sa cosa potrà accadere.

Dunque, se da un lato il governo sembra voler dare il messaggio di una situazione che è sotto controllo, con una strategia ben definita mediante l’estensione progressiva delle certificazioni verdi, dall’altro lato, con la proroga dell’emergenza dà un messaggio opposto. Tale proroga tutto è fuorché un invito alla fiducia per il prossimo autunno.

È vero che c’è il rischio di varianti, ma lo stato di emergenza rappresenta - come detto più volte - una situazione non fronteggiabile con mezzi ordinari. Ma questi mezzi sono presenti nel nostro ordinamento: si tratta, in particolare, delle ordinanze contingibili e urgenti del ministro della Salute, in tema di igiene e sanità pubblica, di cui alla legge sul Servizio Sanitario Nazionale (l. n. 833/1978).

Tali strumenti sono stati previsti anche dal decreto Ristori-bis, riguardo alla classificazione delle Regioni in zone di rischio e alla adozione di misure più rigorose di quelle disposte con altre fonti «in ragione dell’andamento del rischio epidemiologico». Nel maggio scorso (d.l. n. 65/2021) sono stati pure individuati ambiti ulteriori di intervento del ministro mediante ordinanze.

Per il prossimo autunno, con la proroga dell’emergenza, c’è anche da aspettarsi l’ormai usuale protagonismo di presidenti di regione e sindaci.

Oltre che in tema di scuola – non essendo stati operati gli interventi necessari, come detto – ci si attendono iniziative locali circa un utilizzo del green pass in modo “disinvolto”, cioè al di fuori di quanto sancito a livello centrale. Insomma, un film già visto, che tuttavia sarebbe bene non replicare.

© Riproduzione riservata