Un presentatore televisivo che frequenta una medium per parlare con le anime dei suoi cani morti, predica l’eradicazione dello stato dall’economia e dai servizi sociali, definisce indottrinamento l’istruzione pubblica, fa campagna elettorale brandendo una motosega, e spesso si presenta ai dibattiti in Tv in stato di ebbrezza. Un costruttore che erge grattacieli col suo nome in lettere di 10 metri (ben oltre i modesti bassorilievi con la scritta DUX che ancora si vedono in qualche monumento italiano), conclamato razzista e misogino da quarant’anni, evasore fiscale e amico di dittatori. Una politica che, già nel 2008, ha giurato sulla Costituzione senza rinnegare il suo passato (neo)fascista, passa gli ultimi dieci anni a parlare di sostituzione etnica, complotti internazionali da parte di ebrei, e definisce Vladimir Putin un vero patriota e persona affidabile.

Un imprenditore che per vent’anni ha evitato fallimenti concentrando l’attenzione sulla sua immagine di “visionario” e “benefattore”, e godendo di aiuti e salvataggi pubblici ripetuti, cresciuto nella cultura dell’Apartheid sudafricano e noto da anni per i suoi sfoghi misogini, razzisti e omotransfobici, la sua filosofia transumanista (leggi: suprematista ed eugenetista), e la sua avversione alle regole della democrazia.

Del senno di poi sono piene le fosse. Ma proviamo ugualmente a tornare indietro, di qualche anno. Tutto questo era lì davanti a noi. Ma noi (cittadini, elettori, opinione pubblica) dove eravamo? Come è possibile che non si è vista quest’onda arrivare? C’è in realtà chi, ricevendo poco ascolto, ha provato a lanciare l’allarme. Senza doti profetiche, ma forse ricordando la lezione pasoliniana dell’“Io so”. Che non era una presunzione, ma un appello a «seguire tutto ciò che succede, [...] conoscere tutto ciò che se ne scrive, [...] immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; [coordinare] fatti anche lontani, [mettere] insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro, [ristabilire] la logica».

C’è, certo, chi ora come allora apprezzava e sosteneva proprio quei tratti reazionari ed eversivi, e il progetto di soppiantare la liberaldemocrazia. E parteggiava per quelle persone e i loro accoliti proprio per quello che erano.

C’è infine un mondo variegato ed eterogeneo, ma forse maggioritario o comunque determinante per numero e potere nella società.

Le persone che credono che il mondo in cui viviamo, le sue regole economiche e sociali, rimangano le “meno peggiori”, e in quanto tali, alla fine, siano resilienti agli urti, perché non ci sono alternative se non piccoli aggiustamenti al contorno. Che insomma, si sarebbe rimasti negli argini del modello di capitalismo democratico occidentale indipendentemente da chi fosse al potere.

Ma senza desideri né ispirazione a pensare o solo immaginare qualcosa di nuovo, migliore e possibile – una società più egalitaria, partecipativa, inclusiva, pacifica – si rischia di non essere nemmeno capaci di pensare alla possibilità del peggio, e di scorgerne i segnali. Ci si limita insomma al moderatismo e “pragmatismo” del “Mettiamoli alla prova”, del “Vediamo i fatti concreti, uno alla volta, e poi valuteremo”, o del “Noi facciamo il tifo per (l’Italia, gli Stati Uniti, etc.), e se fanno qualcosa di buono (già sentita?) li sosterremo”. Un approccio all’apparenza razionale, ma che può sortire lo stesso effetto del paraocchi per i muli.

Intanto, nell’attesa di giudicare i fatti uno alla volta, il governo dell’esponente politica “afascista” rimanda con tutti gli onori al suo paese un torturatore e stupratore, intraprende una battaglia contro gli altri poteri dello stato, e reprime il dissenso pacifico con leggi liberticide. Il costruttore chiama gli immigrati “animali” e li fa deportare in catene, avvia un piano di controllo politico della ricerca scientifica, e si esclude dalla cooperazione internazionale. Il presunto visionario promosso al potere esecutivo inizia lo smantellamento dello stato e accede a dati sensibili della popolazione, mentre offre sostegno diretto a partiti neonazisti in paesi prossimi a elezioni cruciali. Il presentatore tv che parla con le anime dei cani taglia servizi fondamentali, annuncia il licenziamento di 70mila dipendenti pubblici, ritira il suo paese dall’OmS, gioca con le criptovalute raggirando i suoi concittadini (qualcuno davvero pensava che avesse a cuore il paese?) e continua a inquinare il discorso pubblico con una ripugnante e retriva retorica, violenta ed escludente.

Lo sgomento è tale che, ora, si fa fatica anche a pensare come reagire, in che modo opporsi a quest’onda che pochi avevano visto arrivare e che ora si infrange, violenta, su tutti. L’ottimismo della volontà impone di credere che i modi e i tempi verranno, che si può rimettere la storia su una strada diversa.

Perché ciò accada sarà fondamentale vedere e sentire gli eventi e le parole intorno a noi con più apertura e percettività, non fermarsi ai “fatti” in sé e non tenerli scollegati fra di loro. Allontanarsi almeno un po’ da un approccio tecnicistico al sapere e all’interpretazione, chiuso dentro paradigmi e cauto nell’esporsi al di fuori. Quando l’esporsi e il rischiare, nell’osservazione e nel dibattito pubblico, sono necessari per poter intravedere “tutto ciò che non si sa o che si tace”. Prima che sia troppo tardi.

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