Oggi e domani oltre dieci milioni di elettori votano per le amministrative. Domani sera i giornali e i partiti rappresenteranno l’esito del voto in una chiave semplice: ha vinto il centrodestra o il centrosinistra. Ci avevano spiegato che sinistra e destra non c’erano più. È vero che la competizione è giocata su misteriose piattaforme capeggiate da aspiranti sindaci agganciati a grappoli di liste indecifrabili, irriconoscibili dal punto di vista dell’identità politica: ci sono uomini di destra nelle liste di centrosinistra e viceversa. Ma comunque il paese continua ad essere rappresentato dalla divisione dell’elettorato fra destra e sinistra.

La crisi dei partiti ha investito le istituzioni, ed è una crisi che si vorrebbe risolvere dicendo che non c’è più destra e sinistra ma c’è l’istituzione. Questo porta a una novità: le istituzioni si fanno partito politico. Lo stato diventa partito e per risolvere i conflitti che sono dentro la società reale deve dire che non c’è destra e sinistra. C’è lo stato. Ecco la pericolosa tentazione che vediamo oggi quando il governo e il suo presidente del Consiglio sostengono il superamento di destra e sinistra.

Nei partiti politici è in atto la scissione fra componente governativa ed extragovernativa. La polemica fra Giorgetti e Salvini nella Lega, o tra Brunetta e Berlusconi in Forza Italia, nella sostanza racconta che quelli che stanno al governo stanno diventando membri del partito-stato. E il governo è la direzione generale del partito-stato. La quale direzione entra in conflitto non con i partiti in via di estinzione, ormai residuali. Tant’è che i segretari non vengono consultati e il governo, partito con un mix fra tecnici e politici, ora è un tutt’uno omogeneo coordinato da un presidente che ha già sperimentato come si guida una istituzione senza stato, come la Banca centrale europea – che è senza stato ma ha i poteri di un superstato.

Il sistema italiano

Ma questo esperimento è applicabile al sistema italiano? Ritengo di no. Lo sarebbe solo con l’abrogazione della dialettica democratica del paese. Ma lo stato che diventa partito non può assorbire i conflitti che ci sono nel paese, che invece continua a tenere aperti i problemi del conflitto sociale e civile nell’interno del paese.

Ci saranno due prove politiche che dovranno essere superate da quelli che si illudono che il governo sia la direzione nazionale dello stato-partito. Una è l’elezione del presidente della Repubblica. Per loro servirebbe una figura scialba, semplice, irrilevante, e non sarà possibile. La seconda è il condizionamento esterno. Anche dopo le elezioni tedesche, sostenere che senza Merkel l’Italia con Draghi comanderà in Europa è un’illusione bottegaia e meschina.

Non si può guidare la nuova Europa post pandemia senza una revisione del sistema dei partiti. La scorciatoia dello stato che diventa partito è un’illusione con uno sbocco autoritario. Lo stato non può assorbire i conflitti che sono nell’interno della società senza una via democratica. L’illusione che destra e sinistra non ci siano più, come sostiene la vulgata quotidiana, è pericolosa. C’è un sottile male in Italia, ed è la tentazione di non voler scegliere la via faticosa della democrazia “perché governare democraticamente l’Italia non è difficile ma inutile”. Una concezione arretrata. Il primo ciclo repubblicano ha educato le masse a non voler essere sottogovernate ma governate. Ora il tentativo di voler tornare al sottogoverno perché il governo appartiene agli illuminati è una tentazione che darà brutte sorprese a chi fantastica di questi ritorni impossibili.

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