La nazione è tra le parole più ricorrenti nei discorsi di Giorgia Meloni. Non il popolo, non i cittadini, non il paese. La nazione. 

L’ideologia della destra è nazionalista. Non si appoggia ad una costruzione politica e strategica del popolo, propone invece di usare lo Stato per proteggere un bene per-politico, appunto la nazione.

Scriveva Karl Polanyi nel 1944, che all’erosione del tessuto sociale causata da una politica economica liberista e socialdarwiniana fa da contraccolpo il nazionalismo, come se la società volesse proteggersi da quella dissoluzione. Il nazionalismo ritorna oggi.

Ci sono molti segni che ne indicano la gestazione dal ventre del populismo, e con il sovranismo come levatrice.

Partiamo proprio dal sovranismo che l’Enciclopedia Treccani online definisce come una «posizione politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche soprannazionali di concertazione».

Il nazionalismo afferma la centralità della sovranità dello Stato ma con lo scopo di esaltare il bene nazione contro il rischio di dissoluzione.

Il sovranismo ha avuto grande espansione come contestazione del processo di integrazione europea; il suo epilogo è stato la Brexit.

L’esito del sovranismo separatista ha marcato il declino economico della Gran Bretagna e questo è valso a dissuadere i movimenti di destra a perseguire piani sovranisti radicali. Oggi il sovranismo è moribondo e prende quota il nazionalismo.

La rinascita della nazione come valore etnico originario, un bene da proteggere: nelle sue tradizioni etniche, culturali e anche culinarie.

Dopo la Brexit, il sovranismo si è convertito in nazionalismo: dal separatismo alla rivendicazione di un’Europa degli stati-nazione.

Rivendicazione, si legge nel programma del centrodestra, della volontà di salvaguardare quel che viene ritenuto essere il carattere eterno e indiscusso della nazione.

Il nazionalismo di Fratelli d’Italia si basa su una lettura della nazione italiana parziale che mette insieme una visione tradizionalista delle relazioni interpersonali, private e religiose, con l’uso mercatista del brand nazionale (il Made in Italy compare tra i ministeri) che serve a gratificate l’orgoglio creativo italico.

Dopo la nobile epopea mazziniana, quando la nazione (non il nazionalismo, che Giuseppe Mazzini ha sempre criticato) era posta a condizione di pace e di democrazia, il nazionalismo è stato una politica di giustificazione di espansioni, di aggressioni coloniali, di pulizie etniche, di pratiche razziste, di politiche di omogenità religiosa e culturale.

Evitare di essere trascinati in questa ubriacatura nazionalista è il minimo che si debba fare per preservare lucidità e senso critico.

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