Nella notte dell’8 dicembre l’Unione europea è riuscita a trovare un accordo per l’AI Act, il regolamento europeo che rappresenta la prima legge omnicomprensiva al mondo sull’intelligenza artificiale, dopo 36 ore di maratona negoziale fra il parlamento europeo e il Consiglio.

Col via libera definitivo entro marzo diventerà gradualmente obbligatorio: dopo sei mesi saranno in vigore i divieti, poi dopo 12 mesi le regole per i modelli più potenti che presentano rischi sistemici (ad esempio Gpt) e infine tutto il resto in 24 mesi, ma con una applicazione volontaria anticipata che sarà fortemente incoraggiata.

L’Ai Act ha trasformato in obblighi di legge quei meccanismi di mitigazione di rischi per i diritti fondamentali nell’uso dell’intelligenza artificiale che già sono stati utilizzati in passato da privati e pubblica amministrazione, ma solo come forma di raccomandazioni non vincolanti.

Vengono indicati come usi ad alto rischio, ad esempio, quelli dei sistemi che operano negli ospedali, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nei tribunali, nei processi elettorali.

In questi casi ogni sistema prima di entrare nel mercato europeo dovrà effettuare una verifica di conformità rispetto alla qualità dei dati usati per l’addestramento, la cybersecurity, la capacità di controllo umano, la governance dei dati acquisiti dagli utenti e molto altro.

Questo, ad esempio, per impedire che ancora si possano usare come accade oggi sistemi che selezionano ì curriculum di lavoro discriminando donne e persone non bianche o strumenti di intelligenza artificiale in ambito sanitario che non tutelano a sufficienza i sensibilissimi dati dei pazienti o ancora sistemi usati per ottimizzare procedure della pubblica amministrazione che però presentano gravi rischi di cybersicurezza.

Si identificano poi una serie di usi che vengono vietati perché considerati troppo pericolosi: il riconoscimento delle emozioni nei luoghi di lavoro e nelle scuole e università, la categorizzazione biometrica per inferire caratteristiche sensibili come opinioni politiche o fede religiosa dalle immagini di telecamere, il social scoring modello cinese, la polizia predittiva per prevedere chi commetterà un crimine, il riconoscimento biometrico in tempo reale a fini di sorveglianza se non per la ricerca di sospettati di pochi crimini gravissimi.

Su questi temi il testo finale appare molto vicino alle proposte del parlamento europeo con pochi compromessi rispetto alle esigenze “securitarie” poste da alcuni governi fra cui quello italiano, che infatti ha già detto di non essere contento delle regole stabilite in questa parte dell’accordo fra i co-legislatori.

La trasparenza

È importante sottolineare anche alcuni obblighi di trasparenza che sono stati discussi e costruiti strada facendo e che non erano previsti nella proposta originaria.

Il primo è la riconoscibilità dei contenuti creati con l’intelligenza artificiale, con una sorta di “filigrana digitale”, che potrà essere identificata da qualunque strumento di fruizione dei contenuti, dallo smartphone al computer, in modo tale da segnalare subito che il contenuto è stato creato con l’intelligenza artificiale e rendere così sempre riconoscibili, qualunque sia il social network o i sistemi di messaggistica dove circolano, i cosiddetti deepfake che sono oggi la forma più sofisticata di disinformazione ma anche di offesa e perfino bullismo, con immagini e suoni che mostrano persone fare e dire cose che non hanno mai fatto; il secondo di questi obblighi di trasparenza è quello relativo al copyright per tutelare artisti, autori, giornalisti, grazie alla possibilità dei detentori dei diritti di vietare l’utilizzo dei propri contenuti per allenare i sistemi se non alle proprie condizioni e all’obbligo per tutti gli sviluppatori che hanno già utilizzato contenuti coperti da copyright di rilasciare un riassunto sufficientemente dettagliato dei contenuti utilizzati a tutela dei creatori.

Il modello europeo

Con queste norme l’Europa propone al mondo un modello di sviluppo dell’intelligenza artificiale centrato sulla tutela dei diritti fondamentali, della creatività e del lavoro.

È una scommessa che per avere successo richiederà un investimento politico sulla costruzione di maggiore sovranità europea comune anche in ambito digitale, con più ricerca e sviluppo coordinata, con maggiore condivisione delle capacità tecnologiche.

Anche quando parliamo di questi temi la questione in ultimo è sempre la stessa: un’Europa più integrata e con sovranità condivisa è essenziale anche per poter competere efficacemente nella grande competizione mondiale nel campo delle nuove tecnologie.

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