Alla realtà umana del conclave si unisce la dimensione quasi sovrumana della cappella Sistina. Qui in mezzo millennio si sono svolte diverse elezioni papali, ininterrottamente da un secolo e mezzo, dopo il crollo del potere temporale. Un trauma annunciato che però il cardinale Giovanni Battista Montini – in un discorso tenuto in Campidoglio alla vigilia dell’apertura del concilio – definisce provvidenziale, solo pochi mesi prima di essere eletto e di scegliere a sorpresa il nome di Paolo VI.

La continuità in età moderna di questo luogo come scenario dei conclavi segna la tradizione e l’evoluzione della chiesa di Roma. Qui tra poco sarà eletto il trentesimo papa scelto dai cardinali sotto la «policromia sistina». Così nel 2002 la descrive Giovanni Paolo II, in una meditazione commentata dal cardinale Ratzinger, che meno di tre anni più tardi diventa Benedetto XVI.

Gli affreschi

In quasi venti secoli le elezioni papali si sono svolte in molti luoghi. Dal 1477, per sostituire in Vaticano una capella magna ormai pericolante, Sisto IV fa iniziare la costruzione di quella che, inaugurata nel 1483, prende il suo nome e diviene grazie al suo programma iconografico una metafora del papato e della storia umana.

Ci vuole un sessantennio per completare i cicli pittorici della Sistina. Quando ancora non è affrescato il Giudizio universale – ma già si ammira La consegna delle chiavi, l’episodio evangelico considerato fondante del pontificato romano – nel 1513 per la prima volta nella cappella si elegge un papa: è Giovanni de’ Medici, il secondogenito di Lorenzo il Magnifico, che diviene Leone X, splendido ma controverso. Durante il suo pontificato divampa infatti l’incendio appiccato dalle tesi di Lutero e che si propaga in tutta la cristianità occidentale.

Poco più tardi la riforma tentata dall’austero fiammingo Adriano VI non riesce, e il giorno di Natale del 1522 la parete orientale della Sistina – dove sono raffigurate La disputa sul corpo di Mosè e La resurrezione di Cristo – rovina uccidendo due guardie svizzere e rischiando di travolgere lo stesso pontefice, ultimo non italiano fino al 1978. A sostituire gli affreschi perduti sono mezzo secolo più tardi i colori accesi di due manieristi.

Dalla rivoluzione a Wojtyła

Con l’età moderna lo stato papale si consolida ma perde ogni influenza politica. Come nella Sistina gli affreschi rinascimentali vengono anneriti dai ceri liturgici e dalla «santa sfrontatezza» dell’incenso. A notarlo è Goethe nel 1786 alla benedizione delle candele il 2 febbraio.

Un quindicennio più tardi, la bufera rivoluzionaria costringe i cardinali a riunirsi per l’ultima volta fuori Roma per eleggere il successore di Pio VI, morto prigioniero in Francia. Sotto la protezione austriaca, peraltro ingombrante, il conclave di Venezia – dall’1 dicembre 1799 al 14 marzo 1800 –elegge un monaco, Barnaba Chiaramonti, che tiene testa per anni a Napoleone.

In piena restaurazione, nel 1829, dopo aver assistito il mercoledì santo alla liturgia «delle tenebre» in Sistina, Chateaubriand intuisce il declino della Roma papale. «Al posto di quei pontefici potenti, di quei cardinali che disputavano la precedenza ai monarchi, un povero vecchio papa paralitico, senza famiglia e senza sostegno, dei principi della chiesa dall’aspetto dimesso annunciavano la fine di una potenza che aveva civilizzato il mondo moderno. I capolavori delle arti scomparivano con lei, sbiadivano sulle pareti e sulle volte del Vaticano».

Pio VIII, il pontefice descritto da Chateaubriand, era stato eletto nel 1828 al Quirinale, come il predecessore Leone XII nel 1823. Nella magnifica residenza papale – che domina Roma e con Ciampi dal 1999 diviene «la casa di tutti gli italiani» – vengono poi eletti Gregorio XVI, nel 1831 dopo un conclave di cinquanta giorni, e Pio IX nel 1846. Poi, dopo la presa di Roma, dal 1878 tutte le elezioni papali hanno come scenario la Sistina.

È il primo papa non italiano dopo quasi cinque secoli, il polacco Wojtyła, a meditare nei versi del Trittico romano sul legame tra gli affreschi sistini e l’elezione dei successori di Pietro. Dalla creazione del mondo al giudizio finale, attraverso la storia di ogni essere umano, «l’invisibile si manifesta nel visibile». Proprio qui «la stirpe, a cui è stata affidata la tutela del lascito delle chiavi, si riunisce».

Così è stato – ricorda il vecchio papa – «nell’agosto e poi nell’ottobre, del memorabile anno dei due conclavi, e così sarà ancora, quando se ne presenterà l’esigenza dopo la mia morte». Come sta per avvenire oggi.

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