Confusa e infelice: l’Ue rinuncia anche alla battaglia sul clima

«Sembra che alla fine la partita del clima in Europa la stiano vincendo quelli più vicini a Donald Trump», ha detto Laurence Tubiana, che non è una persona qualsiasi, ma una delle principali artefici dell’accordo di Parigi nel 2015 (oggi presidente di European climate foundation). Sono giorni di quasi-nevrosi per le politiche europee sui cambiamenti climatici: l’Europa non riesce a mettersi d’accordo né sui proprio obiettivi interni al 2040, né sull’impegno formale (Nationally determined contributions) da presentare alla comunità internazionale per il 2035, un obbligo quinquennale previsto dall’accordo di Parigi e formalmente già scaduto. Neutralità climatica 2050, l’impegno dell’Europa è in bilico. Ecco i “nodi” politici Messaggi contraddittori Il risultato è che sta mandando al mondo messaggi contraddittori, proprio mentre la leadership climatica è in una fase di vuoto di potere, effetto dei nove mesi di smantellamento trumpiano. Quel vuoto si sta per chiudere: secondo Reuters, il 24 settembre l’Unione si presenterà all’assemblea generale Onu con una generica dichiarazione di intenti (cioè la promessa di fare una promessa), mentre la Cina annuncerà il suo Ndc che, secondo indizi degli ultimi mesi (comprese dichiarazioni pubbliche di Xi Jinping), dovrebbe essere ambizioso, riguardare tutti i settori industriali e tutti i gas serra, coerente con la leadership tecnologica di Pechino, che ne ha fatto, secondo definizione del centro studi occidentale Ember, il «primo elettrostato» al mondo. La metà delle auto vendute in Cina sono elettriche, sette batterie a ioni di litio su dieci e otto pannelli solari su dieci venduti nel mondo sono cinesi. Clima e Gaza, Greta Thunberg ha sempre fatto politica: non può sorprendere che sia sulla Flotilla L’avanzata di Pechino Questo autunno potrebbe rappresentare la svolta epocale: dopo aver preso il controllo delle filiere industriali dell’energia pulita, Pechino si prende anche quello politico sulle decisioni prese all’Onu e alle Cop (a novembre c’è quella brasiliana), mentre gli Usa hanno abbandonato la scena e l’Europa non sa nemmeno prendersi un impegno per sé stessa, figurarsi guidare il resto del mondo. In questo scenario la decarbonizzazione diventa il sigillo del nuovo ordine mondiale cinese, mentre l’Occidente è nel pieno della sua fase psicotica, tra omicidi politici, censure, tendenze autoritarie e guerre commerciali. Con i suoi tentennamenti sui nuovi obiettivi climatici, l’Europa sta mandando al mondo lo stesso messaggio inviato con le non-sanzioni su Gaza: non cercateci, non guardate a noi, siamo troppo divisi e confusi per prendere qualsiasi decisione. Il Sud globale osserva con attenzione questo disfacimento di trent'anni di lavoro. Ad Addis Abeba si è da poco chiuso il summit climatico africano, la notizia è che il continente sta vivendo il suo boom solare, in un anno installati 15 GW di solare, tutti assorbendo l’over produzione cinese. I paesi africani hanno bisogno di energia a basso costo, i produttori cinesi di nuovi mercati scalabili velocemente, in un anno le importazioni dalla Cina sono cresciute del 60 per cento. Il clima spaventa il capitalismo. Bruciati dal caldo 45 miliardi L’asse degli idrocarburi L’Europa non sta riuscendo a sganciarsi dall’asse degli idrocarburi, composto da Usa, Russia e paesi del Golfo, che continuano a bullizzare la vulnerabilità energetica dell’Ue trasformandola in fragilità politica, costringendoci a comprare ai loro prezzi, alle loro condizioni (vedi trattativa sui dazi) e nei loro tempi. Nell’Unione ognuno spinge l’agenda dei suoi partner privilegiati, chi quella di Trump, come l’Italia, chi quella di Vladimir Putin, come l’Ungheria. Anche la Francia, per calcolo interno, ha deciso di entrare nel «club dei cattivi del clima» (copy di Politico), con il paradosso finale che perdiamo credibilità nonostante i compiti a casa li staremmo pure facendo, perché siamo ancora in linea con i vecchi obiettivi al 2030. Clima impazzito, robot e Ia: il futuro di Um è già oggi Il problema è che investiamo, ma non riusciamo a trasformare gli investimenti né in capitale politico né in crescita. Alle aziende che hanno investito in sostenibilità viene detto: non è servito a niente. A quelle che non lo hanno fatto viene suggerito: continuate così. Ed è pedante ripeterlo, ma ci sarebbe anche la crisi climatica. Ultimi dati: 16.500 morti in eccesso per le ondate di calore in Europa (dati Imperial college), un conto da 43 miliardi di euro per eventi estremi di ogni tipo. Spingere la decarbonizzazione sarebbe un win win: costruire futuro salvando anche la pelle e la casa di migliaia di cittadini. Ma servirebbe una leadership in grado di vederlo. La bellezza della transizione. Quella per il clima è anche una battaglia estetica