Due settimane fa il governo considerava la soglia di allarme quella dei 4000 contagi al giorno. Ieri ne abbiamo registrati 7332, mai così tanti. Il record precedente è del 21 marzo, ma quel giorno erano stati fatti soltanto 26mila tamponi. Ieri i tamponi sono stati 152.196. La capacità di tracciamento dell’epidemia è dunque migliorata, ma questa è l’unica buona notizia.

La cattiva è che il virus si sta diffondendo, immune anche alla cortina di propaganda che ha avvolto l’azione del governo in questi mesi. 

L’esecutivo ha sempre rivendicato di aver gestito bene l’emergenza e si è crogiolato nell’illusione del ritorno alla normalità.

La verità è che le misure drastiche della primavera, rispettate con sorprendente rigore dalla maggior parte dei cittadini, hanno comprato tempo ma non abbiamo usato bene quel vantaggio nella rincorsa tra virus e prevenzione.

Come osserva un dossier appena pubblicato dal ministero della Salute, c’è un giorno preciso in cui si inverte la tendenza: il 16 agosto 2020, nel pieno di un’estate folle con spiagge, discoteche, festival, feste e raduni.

Da quel 16 agosto l’indicatore Rt, che misura l’andamento della pandemia, è tornato stabilmente superiore a 1. Il contagio ha ricominciato a espandersi, dopo essere stato abbattuto dal lockdown e rimasto più o meno stabile tra giugno e metà agosto. Visto che le terapie intensive rimanevano vuote, abbiamo deciso - non solo i politici, ma tutti noi - che potevamo prendere meno precauzioni.

Questo clima pericolosamente rilassato ha lasciato buchi nella rete di protezione, nazionale e locale. La app Immuni serve a poco (chi segnala il potenziale contagio non riceve test e assistenza), chi prova a fare un tampone non riesce a ottenerlo, molte regioni non hanno comprato abbastanza vaccini per l’influenza stagionale e così ogni raffreddore rischia di innescare quarantene, isolamento e stress per medici e ospedali già oberati.

L’ultimo Dpcm del governo scarica sui cittadini ogni responsabilità di prevenzione. Mentre tecnici di palazzo Chigi esercitano la loro perversa creatività a elaborare distinzioni sottili tra “feste” e “celebrazioni”, il virus se ne frega di loro e prepara un’altra strage. 

Otto mesi di pandemia ci permettono però di vedere con maggiore chiarezza le poche alternative disponibili. La prima è continuare con la politica dei piccoli passi, una limitazione nuova alla settimana. L’esito è quello vaticinato ieri dal dottor Andrea Crisanti: un lockdown generale a Natale, per evitare di festeggiare il capodanno in terapia intensiva. Per quanto efficace, la chiusura generalizzata è anche la soluzione più iniqua e traumatica, la sconfitta della politica. 

Prima di arrivarci, vale la pena tentare la seconda strada: interventi drastici, immediati e mirati. Stanziamo i miliardi che servono per ridurre l’impatto economico (meglio spenderli così che per il ponte sullo stretto di Messina tanto caro a questo governo) e chiudiamo tutto quello che si può chiudere: ristoranti, stadi, chiese, palestre, scuole e università in grado di offrire la didattica a distanza, uffici, centri produttivi.

Nelle grandi città tutti quelli che possono lavorare da casa dovrebbero essere messi in condizione di farlo, così da evitare i mezzi pubblici. Il ministero della Salute ha già pronta la lista delle misure, con 2-3 settimane di sacrifici la situazione tornerebbe sotto controllo. Sono interventi che richiedono coraggio al governo e collaborazione dalle regioni, dalla Confindustria, dai sindacati, dalle associazioni di categoria.

La politica deve indicare la linea poi spetta a noi fare tutto il possibile. 

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