È capitato qualche volta che luglio si sia rivelato un mese politicamente torrido. Fu a luglio, precisamente il 19, che Fernando Tambroni si dimise da capo del governo dopo gli scontri di piazza che tra Genova e Reggio Emilia lastricarono di caduti l’avventuroso percorso del suo governo. Correva l’anno 1960.

E fu ancora a luglio, quattro anni dopo, a crisi di governo appena aperta, che i capi democristiani si incontrarono in gran segreto con il generale Giovanni De Lorenzo e con il capo della polizia per avere rassicurazioni sulla tenuta dell’ordine pubblico in uno dei passaggi più complicati della vita del primissimo centrosinistra. E ancora a luglio, verso la fine del mese, precisamente il 23, Ciriaco De Mita riconsegnò le chiavi del governo che aveva presieduto a quella abbondante metà del suo stesso partito che non vedeva l’ora di liberarsi della sua guida.

L’estate politica

Ora, si dirà che molte, moltissime altre date degli altri undici mesi dell’anno sono state altrettanto cruciali per i nostri destini pubblici. Nessun calendario impone per forza di litigare nel cuore dell’estate, e non è detto che la propensione ad alzare i toni della conflittualità debba necessariamente coincidere con un mese piuttosto che con un altro. Resta il fatto però che l’estate della politica è spesso una stagione un po’ particolare. E cioè una stagione nella quale il tempo si dilata e il calendario sembra offrire le più varie possibilità.

Luglio è appunto il mese delle guerre e delle tregue. Il mese in cui il conflitto può divampare con una veemenza superiore a quanto è dovuto (e forse anche a quanto è necessario). Ma anche il mese in cui diventa più facile stipulare tregue aiutate dall’imminenza delle ferie. Dunque, un mese di grandi crisi e di piccoli governi balneari. Le due estremità complementari del nostro variegato spettro politico.

La si può finire qui, e forse è il caso. Ognuno di questi eventi ha fatto un po’ di storia, ma non troppa; e resta il fatto che la politica italiana nella sua straordinaria e affascinante complessità non si nutre di date epocali, ma semmai di processi che avanzano, arretrano, si muovono, si correggano, sbandano, si rimettono in carreggiata, seguendo un filo logico che non si lascia mai inchiodare a un giorno, e tantomeno a uno specifico mese dell’anno.

Conte e Draghi

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Nel caso di Mario Draghi e di Giuseppe Conte, peraltro, e del loro -chiamiamolo così- misunderstanding di queste ore, era piuttosto evidente fin dall’inizio che tutto si sarebbe risolto non appena l’eco del sospetto e del mugugno avrebbe lasciato spazio – com’era doveroso - al principio di realtà.

Cosicché si possa dire che in questo caso nessuna crisi di governo era alle viste, e che anzi la si poteva evocare a parole con tanta disinvoltura appunto perché i fatti obbligavano tutti ad andare dalla parte opposta.

Dunque il nostro luglio politico alla fine della fiera non sarà fatale, né risolutivo, né tantomeno drammatico. Esso è solo il mese più lungo, dato che finisce per incorporare in sé il mese di agosto, quando la politica chiude momentaneamente i battenti e si lascia andare alla celebrazione di quel rito antico -le interviste sotto l’ombrellone- che consente a tutti di far finta di andare incontro all’autunno con idee nuove e fresche.

Il fatto vero è che dalle nostri parti la politica non ha un suo calendario. Anzi, essa scandisce il suo tempo con una fantasia tutt’altro che canonica. Guardiamo con una sorta di invidia agli Stati Uniti, che ogni quattro anni, il martedì successivo al primo lunedì di novembre, immancabilmente, scelgono il loro presidente.

Ma poi ci teniamo ben stretto quel nostro peculiare plebiscito quotidiano che fa sì che ogni giorno abbia in serbo per noi delle attese e delle sorprese. Anche quando poi, come questa volta, non succede niente.     

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