L’aveva già detto a inizio settembre – in una intervista a Repubblica – l’amministratore delegato della Cassa Depositi e Prestiti Fabrizio Palermo: la sua Cdp incarna il «capitalismo paziente». Ieri il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, a domanda del direttore della Stampa Massimo Giannini, l’ha ripetuto: «Si tratta di un investitore paziente e strategico che pur se controllato dallo stato agisce secondo logiche di mercato».

La società statale che agisce secondo logiche di mercato è un ossimoro da applauso, ma la locuzione «investitore paziente» resta priva di senso comune anche se autorevolmente ripetuta all’infinito. E se si pensa solo all’investitore che guarda lontano anziché ai profitti del trimestre in corso, non è un brevetto italiano, nel mondo ce ne sono già centinaia molto più ricchi e capaci della Cdp.

Le capriole logiche per eludere questioni stringenti sono ormai merce comune e non varrebbe la pena di occuparsene se quest’ultima di Conte non illuminasse un nodo, questo sì, veramente strategico: siamo sicuri che, contro la crisi economica che sta travolgendo l’Italia, la pazienza sia l’arma vincente?

Con la pazienza Conte ha affrontato l’emergenza Covid-19 ed è stato un successo. In generale ha preso le decisioni giuste. I sondaggi ci dicono che nella fase drammatica del lockdown il premier è piaciuto agli italiani come solo il Mario Monti dei primi tre mesi, e proprio grazie alle sue visibili debolezze. Vedendo la titubanza, l’ossessiva prudenza e l’evidente paura di sbagliare, gli italiani si sono fidati, tutti consapevoli, fatta la doverosa eccezione per le fisiologiche frange di dementi, che anche loro di fronte a una minaccia sconosciuta avrebbero avuto il terrore di decidere. E che era meglio avere al timone un impaurito che qualche capitan Fracassa del «ci penso io» che avrebbe replicato stile e risultati di Boris Johnson in Gran Bretagna e di Donald Trump negli Stati Uniti.

L’economia invece è impaziente. Se la pandemia può essere sconfitta solo con una lunga e metodica guerra di posizione, i suoi effetti sull’economia sono stati fulminei e richiedono una guerra lampo. A una domanda sul famigerato Mes – il prestito europeo per la spesa sanitaria su cui da mesi la sua maggioranza è lacerata (M5s contrario, Pd favorevole), costringendolo alle più ardite acrobazie verbali – Conte ha risposto così: «Dobbiamo valutare insieme se vi è un fabbisogno di risorse aggiuntive».

In sostanza Conte dice che, dovendoci piovere dal cielo i 209 miliardi del Recovery Fund, forse non avremo bisogno dei 37 miliardi del Mes. Bene. Ma lo scorso aprile, quando iniziò l’assurda polemica politica sul Mes, Conte disse che era «un meccanismo inadeguato e anche insufficiente per reagire a questa sfida epocale».

Nel frattempo il governo ha gravato il bilancio statale di 130 miliardi di deficit aggiuntivo (arriveremo a 160 circa contro i 30 del 2019) per finanziare aziende e famiglie colpite dalla crisi, e ha fatto benissimo, monopattini a parte. E si è profilato il Recovery Fund. Ma è possibile che debbano ancora valutare, naturalmente insieme, se il ricorso al Mes serva o no? Quanti altri mesi serviranno per fare alcune drammatiche, ma semplici e urgentissime, addizioni e sottrazioni? Chi glielo dice al precario – a spasso perché hanno chiuso la pizzeria o l’albergo dove lavorava – di aspettare fiducioso che il capitalismo paziente rifletta sul futuro?

Nell’intervista di ieri il premier ha sostenuto che «quando si è in fase emergenziale, alcuni interventi ben mirati destinati a proteggere assetti strategici, non possono essere considerati espressione di vetero-statalismo». Il punto è proprio qui: magari lo fossero. La vera domanda è se sia coerente con l’emergenza un capitalismo così paziente da comprare azioni di un’azienda agricola per sostenere l’agricoltura o alcuni alberghi per rilanciare il turismo, partecipare al salvataggio di un prosciuttificio per salvaguardare l’agro-alimentare o comprare un pacchetto di azioni Tim per colmare il ritardo digitale del paese.

Conte ha ragione: lo stato in questa fase deve essere il rianimatore dell’economia. Ma a palazzo Chigi pare abbiano aperto l’unico reparto di terapia intensiva dove si cura il moribondo con l’omeopatia e le riunioni.

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