L’evoluzione del Movimento Cinque stelle verso un partito più “tradizionale” si è arrestata bruscamente. Forse Giuseppe Conte era andato troppo in là disegnando uno statuto – da quanto è filtrato – ritagliato per un partito di tipo novecentesco. Forse sono mancate a Conte alcune conoscenze e consulenze sulle evoluzioni organizzative dei partiti contemporanei e soprattutto sulle potenzialità che Internet offre alla loro vita interna.

Lo stuolo di avvocati che ha affiancato l’ex presidente del Consiglio sarà servito per fare chiarezza tra la superfetazione di statuti e norme che si sono affastellati in questi anni creando gineprai giuridici.

Serviva un po’ più di cultura e pratica politica per orientare il M5s verso un approdo che contemplasse, allo stesso tempo, innovazione, efficienza e rispondenza (evitiamo il termine democraticità perché è merce rarissima in tutti partiti).

Beppe Grillo ha difeso l’esistente che però si connetteva con la post-modernità, mentre Conte voleva cambiare con lo sguardo rivolto all’indietro.

Se alcuni indulgono nel vezzo di considerare le primarie un “elemento identitario del Pd”, figurarsi se la democrazia diretta via internet non lo può essere del M5s.  Sbarazzarsi di questa innovazione comportava il taglio delle radici identitarie di un partito de-territorializzato e digitale come il M5s.

La normalizzazione che Conte voleva avviare si è infranta contro la resilienza dell’invenzione organizzativa prefigurata da Davide Casaleggio e Grillo – e del ruolo demiurgico del “garante”.

L’idiosincrasia per ogni forma tradizionale di attività politica ha impedito un radicamento territoriale del M5s e, indirettamente, la nascita di una classe politica matura, salvo qualche eccezione .

Questo conflitto mette comunque in tensione non tanto e solo i 5 Stelle bensì tutto il sistema politico.

Se si arriverà ad una scissione, con la nascita di un gruppo parlamentare contiano, stile Italia viva, allora sia le prospettive del centro-sinistra che la navigazione dell’esecutivo Draghi risentiranno delle onde d’urto provocate da questo terremoto.

Il Pd si troverà a dover scegliere tra i due tronconi ex M5s e sarà costretto a ridimensionare – ancora di più – la sua  influenza sull’attività di governo e sulla partita del Quirinale. E il governo dovrà subire le alzate di capo dei due nuovi gruppi che, inevitabilmente, vorranno definire il loro profilo diventando quindi assai meno acquiescenti di quanto non lo siano stati finora. Al punto da arrivare persino al ritiro della fiducia, con una sorta di inversione di ruoli, visto che l’azzimato avvocato del popolo è molto meno filogovernativo dello scamiciato arruffapopoli.

La prevista e auspicata “romanizzazione dei barbari” grillini si è trasformata in uno scenario da incubo con la prospettiva di un centro-sinistra competitivo ridotta al lumicino e una destra, sostenuta dai palafrenieri di centro, vincente su tutta la linea.

Con questa prospettiva, il colle più alto va assolutamente presidiato da una figura prestigiosa e di solidissime credenziali democratiche.  

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