Dal G20 di Roma alla Cop26 di Glasgow, questi giorni di summit climatici si consumano in un pendolo tra allarmi e trionfalismi. Le piazze dei giovani e molti esperti lamentano che l’approccio alla crisi climatica è troppo timido. Come dice Greta Thunberg, «i leader non stanno facendo nulla» e continuano «a trarre profitto da questo sistema distruttivo».

I governi, le grandi aziende e i giornali che da quelle aziende sono foraggiati celebrano svolte tanto più epocali quanto più sono soltanto la prosecuzione dello status quo con una pennellata di verde. Un po’ meno petrolio ma sempre lo stesso gas, magari il ritorno del nucleare, tagli ai sussidi ma solo con molta calma, carbon tax ma purché non sia costosa e così via.

Questa contrapposizione ricorda il dibattito sui vaccini: ci sono due punti di vista legittimi ma contrapposti oppure uno serio, fondato, e l’altro prodotto da disinformazione e malafede?

Climate activist Greta Thunberg marches with other activists through the streets of Glasgow, Scotland, Friday, Nov. 5, 2021 which is the host city of the COP26 U.N. Climate Summit. The protest was taking place as leaders and activists from around the world were gathering in Scotland's biggest city for the U.N. climate summit, to lay out their vision for addressing the common challenge of global warming. (AP Photo/Scott Heppell)

I modelli di previsione sugli effetti del cambiamento climatico si reggono su molte ipotesi (per esempio quanto valutiamo il benessere delle prossime generazioni rispetto a quello di che c’è oggi). Ma dopo alcuni decenni di ricerca, c’è un certo consenso su come si calcolano gli effetti e come si prevengono.

Il Fondo monetario internazionale, tra gli altri, è d’accordo molto più con Greta che con gli entusiasti degli accordi al G20 di Roma. I due obiettivi indicati dagli accordi di Parigi e dai vertici successivi sono di contenere l’aumento della temperatura sotto i 2 gradi rispetto all’età pre-industriale oppure, più ambizioso, sotto 1,5 gradi.

Per riuscirci, le economie avanzate si sono impegnate a ridurre del 43 per cento le emissioni del 43 per cento rispetto ai livelli oggi previsti per il 2030, i paesi emergenti del 12 per cento e quelli più poveri del 6.

Secondo i calcoli del Fondo monetario, però, per stare sotto i 2 gradi i paesi ricchi dovrebbero tagliare del 45 per cento, quelli emergenti del 30 e quelli poveri del 20.

La soglia di 1,5 gradi richiederebbe sforzi ancora più drastici, per esempio 70 per cento per i ricchi, 55 per gli emergenti, 35 per i poveri.

Siamo lontanissimi, le piazze del clima hanno cambiato la sensibilità, ma la politica ancora non ha recepito le dimensioni del cambiamento richiesto.

Sempre secondo il Fondo monetario, i costi di aggiustamento sono rilevanti ma gestibili, tra lo 0,2 e l’1,2 per cento del Pil mondiale. Gli strumenti ci sono, come vere carbon tax globali.

Fare troppo poco e troppo tardi può addirittura peggiorare le cose, proprio come durante la pandemia quando dare 1000 vaccini al giorno per qualche secolo non è uguale a inoculare milioni di persone in poche settimane.

Una transizione ecologica lenta diventa uno spreco di miliardi di euro di sussidi a settori che non garantiscono la sostenibilità e non ci emancipano dalle fonti inquinanti.

Per fare sul serio servono molte misure come quella appena approvata a Glasgow, cioè la fine dei finanziamenti pubblici ai progetti inquinanti, o la decisione della Banca d’Inghilterra di non comprare più obbligazioni legate al carbone.

Annunci come la neutralità climatica nel 2050 servono solo a prendere – e sprecare – altro tempo se non sono sostanziati da impegni molto precisi e ravvicinati per i prossimi mesi, non per i prossimi decenni.

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