Signorini, Lord Varys di Mediaset. Il potere è nulla senza segreti

«I have no proof, only whispers» dice Lord Varys, “il signore dei sussurri” di Game of Thrones. Varys, enigmatico e scaltro, si aggira tra i potenti collezionando dettagli privati suggeriti dai suoi informatori, «my little birds», cucendosi addosso l’armatura di custode dell’indicibile. Sussurri, misteri, peccati, voci di corridoio, «il segreto di Pulcinella», come aveva definito Alfonso Signorini quello di Gabriel Garko, lasciando intendere di sapere già tutto da sempre. L’attore fece coming out tra le mura del Grande Fratello Vip, in un’incursione di pochi minuti per salutare la donna con cui fingeva di avere una relazione. Il Lord Varys di Mediaset, padrone dei retroscena del vasto universo spettacolare berlusconiano, ha la fama di essere la preziosa valvola che contiene le eventuali esplosioni di una pentola a pressione anche nota come vita di corte. Adesso, invece, è il suo segreto di Pulcinella a rimbalzare tra una parete e l’altra, non del set di un reality a Cinecittà ma nella forma incontenibile della notizia virale; il gossip, del resto, è come un gas, occupa tutto lo spazio disponibile. Hanno vinto i non famosi: così sono andati in crisi i reality Macchina mediatica Che Alfonso Signorini fosse un ingranaggio fondamentale della macchina mediatica del Biscione, si sapeva già ben prima che arrivasse il monologo-inchiesta di Fabrizio Corona, ormai consapevolmente assorbito dal suo ruolo di infotainer cabarettista, da Re dei Paparazzi a Re di Whatsapp. Nel mondo a misura di smartphone, dove tutti hanno una fotocamera, rubare scatti non è più appannaggio esclusivo di appostatori con teleobiettivi chilometrici: il vero scandalo, oggi, si consuma tra i pensieri e le parole di chi merita di essere seguito, trafugando scambi epistolari più intimi del subconscio stesso – basti pensare a «spaccante» che diventa parola dell’anno per Treccani, da lessico familiare a lessico massmediale. Non è facile fare lo slalom tra le patate bollenti che tracciano il percorso intrapreso a tutta velocità dal patron di Falsissimo, visto che di mezzo ci sono diverse voragini dentro cui sprofondare. L’episodio, per dichiarare subito l’intento della missione, si apre con un cappello sul MeToo, prosegue con presunte chat tra ex concorrenti del Grande Fratello Vip e conduttore in cerca di scambi sessuali, e continua nell’etere generando una valanga di risposte che spaziano da Selvaggia Lucarelli alle accuse reciproche di connivenza col sistema lanciate da chi, in questi anni, negli studi televisivi che furono Fininvest ha bazzicato non poco. Al netto delle sfumature più grottesche, che si tratti di una vicenda complessa lo si evince da un dettaglio fondamentale, ossia che i soggetti coinvolti in quello che potrebbe diventare un grande scandalo con impatto reale o un semplice scandalo con conseguenze relative sono, o sono stati, legati anche alla vita di un presidente del Consiglio. Processo Hydra, parla il pentito “Scarface”: «Fabrizio Corona aveva rapporti con il boss» La rete berlusconiana Ed è in questo sodalizio forte e mai celato, il suddetto segreto di Pulcinella, che pulsa il cuore del fenomeno Signorini, un personaggio che incarna forma e sostanza del berlusconismo più puro, quello delle origini, fatto, prima ancora che di parlamento e governi, di spettacolo e immagine. Signorini appartiene infatti alla parte più luminosa della costellazione composta dal fitto intreccio di editoria, televisione e politica che ha protetto, nutrito e idolatrato Berlusconi. Lui stesso racconta del rapporto di grande intimità con l’editore, da lui chiamato “Il Capo”, quando la notte di un grave lutto familiare gli si presentò a casa, stringendo la sua mano fino al sonno, come un fratello. Fu Signorini, allora direttore di Chi, house organ della libertà, a pubblicare il servizio con sfondo vesuviano di Noemi Letizia, protagonista di quel «ciarpame senza pudore» denunciato da Veronica Lario anche noto come Casoria-gate, in compagnia di un fidanzato che smentiva la relazione con il presidente, o con il “papi”; anni dopo, il ragazzo confessò che non stavano insieme. Fu sempre Signorini a intervistare nel suo Kalispéra Karima El Mahroug, nota ai più come Ruby Rubacuori, per ricomporre la figura compromessa della minorenne data in pasto «al drago», sempre per usare un’espressione della ex signora Berlusconi. E poi, tutti i non detti che possiamo supporre, i servizi comprati, le foto sparite, i cassetti pieni di faldoni che spaziano da Lapo Elkann fino all’ultimo dei parlamentari, in un fitto reticolo di nani e ballerine dentro cui troviamo Corona stesso, Lele Mora e tanti altri nomi dell’aristocrazia secondo-repubblichina, quella raccontata con gelido distacco scandinavo dal Videocracy di Erik Gandini. «Se si volessero liberare di lei?» chiede Daria Bignardi in una vecchia intervista, «tutto ha un prezzo», risponde il giornalista sorridendo. «Poveri comunisti», lo spettro di un insulto che non passa mai di moda Signorini, tuttavia, non è solo proprietario delle chiavi che aprono cunicoli proibiti, ma è demiurgo d’elezione, incaricato di una grandissima responsabilità, ossia il controllo delle immagini. Signorini decide chi può e chi non può far parte della commedia del palinsesto e della carta, dei salotti con luci e lustrini e delle copertine posate o fintamente spontanee. Chi è stato, in un certo senso, il Politburo del partito della fama, l’organo regolatore della rilevanza mediatica di coloro i quali vorrebbero diventare cittadini della repubblica popolare dell’intrattenimento Mediaset. Motivo per cui le accuse mosse da Corona, ex membro del direttivo, vere o finte che siano, girano con tanta frenesia, perché risultano verosimili, se non nella loro sostanza fattuale, sicuramente in quella formale. L’antico presupposto della celebrità, lo scotto da pagare: persino in un cartone per bambini come La Sirenetta, Ariel firma un contratto in cui deve cedere qualcosa (la voce) per diventare ciò che vuole (una donna). È un racconto che ci scorre nelle vene e si fa certezza diffusa, il do ut des taciuto dello showbiz, ciò che tutti sanno ma che nessuno dice, a meno che a dirlo non sia il parafulmine degli scandali, che con il suo discutibile mix di incoscienza, spavalderia, violenza e arroganza decreta: il re è nudo, il conduttore pure, o in alternativa è vestito da infermiera. Pier Silvio “licenzia” Tajani: pronta la rivoluzione di Forza Italia L’icaro del gossip L’enigma Signorini però, al netto delle sommarie accuse del tribunale coroniano, è un altro, e non ha a che fare solo con la profondità dei suoi rapporti col potere o con ciò di cui può essersi pentito negli anni – come disse a Fagnani a Belve, per il caso Ruby, ad esempio, avrebbe preferito fare di meno. Ha a che fare piuttosto con gli ultimi cinque anni della sua carriera, quando da personaggio laterale dell’immenso cast di volti Mediaset, dunque da co-protagonista che si godeva il vantaggio di un punto d’osservazione privilegiato ma meno a rischio cadute, è passato a essere vero e proprio timoniere delle grandi navi di Canale 5. Da creatura chiambrettiana, animale da seconda serata, opinionista con ruolo shakespearianamente maligno, Iago del pettegolezzo, diventa mattatore con papillon e velluto. Il suo sogno, la conduzione del Grande Fratello Vip, è anche, a posteriori, la causa della sua potenziale disfatta. Ereditando un format storicamente condotto da donne – a oggi, tutte allontanate dall’erede Pier Silvio, D’Urso, Marcuzzi, Blasi –, Signorini si scontra sin da subito con la portata gigante di un solo immenso scoglio, quello della simpatia mista al carisma necessari per il mestiere. Le conduttrici si emozionano, ridono, empatizzano, lui invece, che per una vita ha osservato, raccontato e spiato i vipponi, come li chiama lui, non riesce a uscire dal ruolo di professore cattivo, compagno di classe secchione e un po’ stronzo, regista esigente di melodrammi, tutti compiti da lui realmente svolti, rivendicati e traslati in una conduzione rigida e al contempo melensa in cui a prevalere sono «gli occhi friccicarielli» degli innamorati a forza e le lacrime indotte. I social calpestano la privacy: cosa ci insegna il caso Raoul Bova Così, la sua possibile débâcle, a un passo da una prossima edizione con cast già completo, reduce dagli ultimi anni di ascolti che calano vorticosamente a picco, atterra sul terreno già fertile del fastidio generale. Il pubblico del programma, una grande voce collettiva che si esprime su internet come coro tragico – «il sentiment», per usare sempre un’espressione cara al Gf – lo stesso pubblico che negli anni di live-tweeting lo chiamava senza troppo garbo «il pelato» o «l’elfo», si sfrega le mani. L’Icaro del gossip sconta, non sappiamo ancora quanto e per quanto, il prezzo della sua fama, creata sulle orme degli scandali altrui, in un ribaltamento di ruoli inaspettato: chi paparazza il paparazzo, chi controlla il controllore, o chi educa l’educatore, per dirla ironicamente con Marx. L’eminenza grigia di Cologno, sedotta dai mille colori della ribalta, cade in una trappola che avrebbe potuto tendere lei stessa; queste però sono solo supposizioni, «only whisperers».