Il notevole aumento degli sbarchi riaccende i toni del confronto pubblico sul tema delle migrazioni. Di questo, tra gli altri temi, si discute anche al Sinodo valdese in corso in questi giorni a Torre Pellice (Torino).I poli estremi del confronto pubblico, in Italia, sembrano essere il respingimento “muscolare” quanto impotente e la riduzione delle possibilità di integrazione, da una parte, e quello dell'accoglienza, dall'altro, animato più da wishful thinking che sorretto da soluzioni calcestruzzo. Intanto i sopravvissuti alla traversata del Mediterraneo vengono dislocati, con sempre più difficoltà.

Su questo sfondo si collocano i corridoi umanitari che la Federazione delle chiese evangeliche in Italia, la Tavola valdese, la Comunità di Sant'Egidio e altri portano avanti dal 2016: accessi sicuri e legali per persone fragili. Sono oltre seimila. A partire da questa esperienza, alcune considerazioni, emerse nella discussione dedicata a questo tema durante il Sinodo – la massima assise decisionale – della Chiesa valdese – Unione delle chiese metodiste e valdesi. I corridoi non sono l'unica reazione ai movimenti migratori causa da guerre, persecuzioni, fama. Non possono essere il lato buono di una politica migratoria che esternalizza il respingimento, anche verso regimi. Pensiamo sia una delle risposte ragionevoli che anche gli Stati dovrebbero adottare, non all’emergenza di turno ma a un fenomeno epocale.

La qualità delle politiche

La qualità delle politiche con cui l'Italia e l'Europa reagiscono alle migrazioni chiama in causa anche la qualità di quelle democrazie costituzionali basate sulla tutela dei diritti umani a cui il nostro continente è approdato avendo alle spalle tragedie simili a quelle che oggi costringono gli uomini donne alla fuga, che partono perché non hanno altra prospettiva se non soccombere. Anche l'Europa è stata insanguinata da guerre, anche “di religione”, dall'intolleranza e da dittature, anche l'Europa ha avuto milioni di migranti in cerca di un futuro migliore. Quello delle politiche migratorie è uno dei fronti in cui si gioca la nostra anima.

Non sudditi ma cittadini

Intanto quest'anno sono arrivati in 100.000. “Illegali”, “clandestini”, ricevuti alla marginalità. Ritengo che questo non sia nell'interesse della nazione. Per assecondare determinati umori e amplificarli nella propaganda, si tollerano o si creano sacche di marginalità. Si invece potrebbe proporre una strategia win win attraverso l'integrazione. Apprendimento della lingua, formazione professionale. Mentre nel Paese posti di lavoro rimangono scoperti perché nessuno vi vuole accedere. Ma si dice “gli immigrati ci tolgono il lavoro”. La nazione non ha bisogno di sudditi ma di nuovi cittadini.

Ci sono parole perentorie che non mi piacciono. «Non dovevano partire», a fronte del naufragio di Cutro. Se dicessimo invece: «Non devono dover partire». Quelli che partono sui barchini non sono incoscienti ma disperati che fuggono da guerre, violenze, disastri, fama. Come si fa a non dover partire da situazioni come quelle di Siria, Afghanistan, Iran, Africa sub-sahariana? Ecco una domanda per le politiche migratorie.

Di solito, quando si dice “aiutiamoli a casa loro”, l'accento cade su “a casa loro”, magari con un punto esclamativo. Intanto, che se ne stiano a casa loro. Se per caso sono arrivati fin qui, mandiamoceli noi, a casa loro! Se anche qui ci chiediamo che cosa si deve fare per aiutare veramente chi non ha scelte se non soccombere o partire. Con quale politica estera, con quale visione della cooperazione internazionale. Per cominciare a rispondere a queste domande, bisognerebbe che la politica fosse qualcosa di più che propaganda.

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