Il governo Draghi è nato dalla crisi della maggioranza anti-salviniana del Conte 2. Nel settembre del 2019 tutto il mondo politico e finanziario italiano e internazionale patrocinò la nascita di un esecutivo che escludesse i populisti trionfanti della Lega: alle elezioni europee di qualche mese prima avevano toccato il cielo con il 34,2 per cento.

Dopo un anno e mezzo l’establishment ha pensato che fosse passato il pericolo e che si poteva imbarcare la Lega al governo, affidandola a Mario Draghi. Ma cosa è cambiato nella Lega per renderla così potabile dopo quel rapido passaggio all’opposizione? In realtà, poco o nulla.

L’isteria anti-immigrati continua a campeggiare in cima ai proclami salviniani; la resistenza/ostilità a una campagna vaccinale universale – «non voglio vedere mio figlio diciottenne inseguito da una siringa» (Salvini dixit) -  prosegue con tanto di astensioni e voti contro in parlamento e con l’organizzazione di indecorosi convegni di maghi e fattucchiere del virus, ospitati dal Senato; la diffidenza verso l’Europa permane e si confermano gli amorosi sensi con l’ungherese Viktor Orbàn e i sovranisti euroscettici alla Marine Le Pen.

Tutto l’armamentario politico-retorico della Lega di opposizione è transitato al governo.  I mormorii di governatori e altre componenti interne sono per ora flatus voci, in un partito che è impostato su una verticalità del potere putiniana.

Il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti è tanto coccolato dai media che rischia di seguire le orme di Gianfranco Fini quando voleva contrapporsi a Silvio Berlusconi. Sappiamo come è andata a finire.

Il consenso della Lega si costruisce sugli stessi mattoni di un tempo: ostilità agli immigrati, domanda di maggiore legge ed ordine, contrarietà a big business e finanza, resistenza all’oppressione fiscale. Le tematiche populiste sono ancora tutte lì, pronte ad infiammare la prossima campagna elettorale. E tuttavia il leader leghista riesce a conciliare la sua linea “antagonista” con la partecipazione al governo.  

Draghi assiste a questo comportamento che gli apparirà schizofrenico e che, inevitabilmente, si riverbera sull’attività del governo.  

Ora che le ragioni “costitutive” dell’esecutivo stanno venendo meno - la campagna vaccinale ha ormai concluso il suo ciclo e il Pnrr è stato approvato – la sua azione si estenderà ad altri ambiti (se vuole proseguire il suo cammino).

Va quindi definito un perimetro politico-culturale. Se molti mettono in discussione la sintonia tra Pd e Cinque stelle, cosa dire allora di quella tra Pd e Lega?   

Le cabine di regia sono solo una riedizione di vecchi riti. Meglio chiarire bene chi aderisce a un progetto di modernizzazione e liberalizzazione (ddl Zan, eutanasia, depenalizzazione droghe leggere, ius soli, accoglienza rifugiati, giustizia sociale) e chi guarda ad un altro modello di paese più prossimo alle sponde del basso Danubio.

Draghi è rimasto in equilibrio su molti dossier. Ma nel prossimo futuro si incroceranno politiche legate a principi ispiratori inconciliabili. Da che parte vuole andare il governo?

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