Ci sono tre sono i messaggi chiave della conferenza di fine anno del presidente del Consiglio Mario Draghi. Il primo è “missione compiuta”. Il governo Draghi ha corrisposto ai due impegni che il presidente Sergio Mattarella aveva indicato all’insediamento dell’esecutivo, a febbraio: approvare – e far approvare da Bruxelles – il Piano nazionale di ripresa e resilienza e fronteggiare l’assalto della  pandemia con un efficace piano di vaccinazioni.  

Il secondo messaggio è: “continuità”. Questo governo può andare avanti chiunque lo guidi, non è legato intrinsecamente a chi attualmente lo presiede, ha fatto capire Draghi.

Il terzo messaggio è: “coerenza” . Il perimetro minimo della maggioranza che eleggerà il presidente della Repubblica successore di Sergio Mattarella, deve combaciare con quello dell’attuale coalizione di governo, pena la sua caduta; inoltre, un allargamento all’opposizione è auspicabile e benvenuto. 
Per chi voglia intendere le parole di Draghi sono inequivoche.

La sua disponibilità ad essere portato al Quirinale non poteva essere più chiara. Quando ha dichiarato con po’ di ironia civettuola, di essere «un uomo, anzi, un nonno, a disposizione delle istituzioni» ha sgombrato il campo da ogni ambiguità. In sostanza, dice, se mi volete al Colle non opporrò il “gran rifiuto”. Ma sono le forze politiche a dover prendere la decisione, ha aggiunto alla fine. Sono loro i veri protagonisti del gioco. 

Draghi ha richiamato i partiti alle loro responsabilità, ma allo stesso tempo ha fornito un attestato del loro ruolo centrale nel sistema democratico parlamentare. 

 A questo punto rimane da vedere chi tra le forze maggiori farà la prima mossa in questa direzione, e in quale maniera verrà formulata.

L’ideale, forse impolitico, sarebbe che il partito di maggioranza relativa del parlamento – cioè il Movimento Cinque stelle – si assumesse il compito di riunire tutti i leader per una deliberazione comune. Ma la debolezza politica di Giuseppe Conte rende improbabile un percorso così trasparente e lineare.

Tuttavia, di fronte ad una disponibilità senza remore del presidente del Consiglio sarebbe disastroso se il processo decisionale si incagliasse con dei distinguo e delle impuntature.

Si rischia di perdere in un sol colpo governo e Quirinale,  nel senso che l’eletto sarebbe comunque una seconda scelta  e la maggioranza sarebbe travolta. E Draghi sarebbe perso per ogni altra funzione nel sistema politico italiano. Non proprio quello che i cittadini e l’opinione pubblica internazionale si attendono. 

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