Ultimamente mi è spesso capitato di pensare ad una frase che mia nonna diceva sempre – ma penso l’abbiano detta, ben prima di lei, anche metà dei filosofi di tutto il mondo – ovvero che «anche dal peggio c’è sempre da imparare». In questi giorni mi sono definitivamente convinta che avesse decisamente ragione.

La prova ci è stata fornita da uno degli eventi più visti, commentati ed eclatanti degli ultimi anni (anni in cui, per onor del vero, di cose eclatanti ne sono capitate parecchie): il processo Johnny Depp contro Amber Heard.

I fatti non sono semplici ma proviamo a riassumerli: nel 2009 due divi di Hollywood, entrambi con seri problemi di instabilità emotiva e dipendenze, si conoscono sul set di un film che si chiama The Rum Diary – e già qui si poteva prevedere buona parte dell’evoluzione di questa storia – si piacciono, si frequentano e, dopo qualche mese, si sposano.

Dopo 15 mesi lei chiede il divorzio, si accordano e lo ottiene. Un paio di anni dopo lei racconta, in un editoriale, di essere stata vittima di violenze domestiche. Questa affermazione travolge la carriera dell’ex marito, il quale perde reputazione e lavori, e decide di farle causa per diffamazione. Il processo viene vinto da lui e a lei tocca risarcirlo, anche se ha comunicato che farà appello.

Un brtutto spettacolo

Al di là della vicenda in sé, tutto intorno si è generato il putiferio. Per settimane sui social sono diventati virali mini video del processo, ne sono stati fatti meme, battute, le persone si sono divise in due estreme tifoserie: la curva “Depp baluardo del coraggio degli uomini contro le donne cattive che fingono di essere state menate” e la fazione “Amber Heard ha sicuramente ragione perché lui è un uomo e si sa che gli uomini menano”.

Va da sé che se in tribunale si è consumato il triste spettacolo di due vite distrutte e due persone visibilmente invischiate in una relazione tossica, sui social si è consumato il triste spettacolo di una società distrutta e persa all’interno di una relazione tossica con sé stessa.

Cosa abbiamo imparato

Eppure, visto che, come dicevamo, «del maiale – mediatico – non si butta via niente», ecco cosa abbiamo imparato dal processo Depp-Heard:

  • che l’alcol fa male. Tendenzialmente c’era venuto il dubbio però vedere come si è ridotto Depp ce ne ha dato la definitiva conferma.
  • Che fare la cacca sul letto non ti rende una ragazza simpatica.
  • Che se una mora (l’avvocata di Depp) interroga una bionda (Amber Heard) le persone non vedranno un avvocato che pone domande a un imputato ma, semplicemente, una lotta nel fango tra donne bone. Dove vincerà, ovviamente, sempre la mora. Perché si sa che le more hanno sempre ragione.
  • Che per quanto la tua vita sia umiliante non sarà mai umiliante come questo processo.
  • Che se vieni accusato di qualcosa, anche senza prove, i tuoi amici spariscono. Almeno finché tutti non tifino per te è tu vinca la causa: a quel punto pure il fruttivendolo pubblicherà una sua foto con te scattata dopo un concerto alle tre di notte nel 1996.
  • Che se sei una donna rappresenti sempre tutte le donne, qualunque cosa tu faccia. La donna non esiste come essere umano a sé stante, capace di fare grandi cose oppure cazzate immense, senza condizionare la reputazione di tutte le altre. Una donna viene sempre giudicata come donna. Però quando, al contrario, fai cose ammirevoli, sei un’eccezione.
  • Che stare simpatici alla gente è sempre un gran vantaggio.
  • Che limitarsi dall’esprimere giudizi su cose che non sappiamo sarebbe sempre una buona idea.
  • Che gli anni Novanta, le droghe, gli eccessi, i matrimoni lampo con divorzi lampissimo, le litigate furiose tra le star, insomma tutte le cose che ci piacevano e che abbiamo sempre considerato uno status symbol e che abbiamo, in cuor nostro sempre desiderato (tipo essere la moglie di Johnny Depp), sono invecchiate davvero malissimo.

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