Il Regno Unito indica da sempre ai mass media dell’Europa la strada da percorrere per non scomparire rispetto al gigante d’oltre Atlantico e per questo teniamo un occhio fisso a quanto accade in quel paese.

Da ultimo il cultore dei media Marco Bottigliero ci ha segnalato due fenomeni del luogo: Netflix ha aumentato il prezzo dell’abbonamento fissandolo infine a 168 sterline (189 euro), al livello del canone Bbc che lì è il doppio che da noi; si sta diffondendo la finzione di non pagare l’abbonamento al “pubblico” per compensare in tal modo il maggior costo del privato.

Facile da farsi perché basta giurare che uno streaming qual che sia, giammai lo vedi. È una truffa, e truffare nel Regno Unito è tuttora visto male, ma il pagamento del canone non può che farsi fragile col venir meno del favore popolare e così anche il suddito della Regina cade in tentazione al punto che la sua truffa gli pare un atto di giustizia.

Le ragioni del prezzo

Può sorprendere che solo ora abbonarsi a Netflix costi nel Regno Unito come in Italia, Germania e Francia, ma probabilmente questa mitezza della piattaforma on demand era utile a farsi strada in un paese dove la televisione tradizionale, pubblica e privata, è meno residuale sul piano editoriale e ha bilanci più in ordine dei nostri.

Però è evidente che anche nel Regno Unito le talpe dell’on demand riescono a scavare e a farsi strada (oltre a Netflix, ovviamente, Amazon, Disney+, AppleTV) fornendo un insieme esaustivo di film, fiction e documentari, cui sempre più s’aggiungono musica e canzoni. Manca solo il notiziario e il gossip, ma a darceli basta ed avanza quel che arriva a mezzo social.

La subitanea impennata dell’evasione dal canone Bbc (in vigore dal 1927) indica che il consumatore è alle prese con la scelta di dove spendere il budget destinato a informarsi, divertirsi ed educarsi: a favore della tv tradizionale o di quella “a scelta”? Tanto più che – almeno finché è possibile farlo – il prezzo della seconda puoi alleggerirlo decidendo di distribuire gli account d’accesso su più di un bilancio familiare.

I riflessi italiani

Il suono della campana inglese ci riguarda perché attesta l’irrefrenabile secessione di generazioni (le meno anziane) e di ceti sociali (i più benestanti e istruiti) rispetto all’area della televisione tradizionale.

Con la conseguenza che da noi – messo in bolletta o meno – il finanziamento della tv pubblica sarà sempre più vulnerabile alle incursioni del populista bellimbusto che voglia farsi bello a spese dell’odiatissimo balzello.

Prima di fregarsi le mani e godersi lo spettacolo del naufragio della Rai, coi suoi divi strapagati e così via, sarà bene aver presente che proprio il canone ancorato al pagamento della luce è decisivo per l’esistenza di una decente misura di produzione audiovisiva nazionale e per l’esistenza dei relativi posti di lavoro ai quali guardano bramosi i tanti giovani che studiano come creare trame, sceneggiare e produrre coinvolgendo migliaia di maestranze.

Esistere come industria nel mercato delle storie non è infatti cosa facile e richiede investimenti e dimensione che un paese di media stazza come l’Italia raggiunge solo con l’apporto del contribuente. L’alternativa del resto quale sarebbe, se non di rassegnarsi a fare parte di un paese senza voce? Ecco perché ci pare urgente che, cogliendo al volo la convergenza del momento, le forze politiche emancipino la Rai lasciandola libera di ridisegnarsi. Per mettersi in forma (nuova) e far tesoro del canone fino a che dura oltre che sviluppando, guardando più lontano, altre fonti di ricavo (magari proprio nella tv on demand che la incalza da vicino).

 

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