Il neo premier Mario Draghi sta componendo il suo governo ma già premono le urgenze internazionali. Non si tratta di ciò che finisce sui media, fatti ed eventi in genere legati alla politica interna come le migrazioni o il continuo vittimismo con cui si descrive come siamo trattati e così via.

Si tratta invece di questione sode e di sostanza che non giungono quasi mai nel dibattito pubblico e che concernono la prospettive a medio-lungo termine.

Proviamo ad elencarne alcune a cui Draghi potrà dare il suo personale impulso. Innanzi tutto la costruzione europea: se è vitale che con il Recovery Plan si è iniziato un percorso di mutualizzazione del debito, tutto il resto è fermo.

Non si discute di visione strategica su cosa debba essere l’Europa per sé stessa e per il mondo. Allargamento e approfondimento sono bloccati: dal fallimento della Convenzione non c’è stato più nessun colpo d’ala. Urge rimettersi in cammino.

In secondo luogo, le relazioni con gli Stati Uniti: con Biden ci sarà un miglioramento ma non si può pensare di tornare a prima del pivot to Asia. Anche qui ci vuole una proposta europea che faccia quel salto di qualità sui temi comuni che legano l’alleanza atlantica: quale il futuro della democrazia? Come affrontare il divorzio democrazia-mercato? Cosa rispondere al modello liberismo-autocrazia (alla cinese) oggi prevalente? Come difendere il multilateralismo in crisi (abbiamo la presidenza del G20!)?

L’Occidente deve uscire dalla sindrome da declino e rinnovare una proposta forte al mondo. Ciò porta con sé altre domande (del tipo che legami stringere con l’Africa o come dialogare con l’islam) a cui Stati Uniti ed Europa devono rispondere assieme.

In terzo luogo c’è la relazione con Mosca: serve una nuova Helsinki che ribadisca i principi e valori comuni su cui siamo disposti a cooperare. Siamo andati troppo oltre nella tensione (l’annessione della Crimea lo dimostra) e non è nostro interesse una nuova “guerra fredda” con la Russia.

Ne consegue che la politica estera italiana può e deve tentare soluzioni nel Mediterraneo orientale e in Libia, zone di influenza diretta, senza dimenticare il Sahel che sta subito a ridosso.

L’Italia degli ultimi anni ha tralasciato di trovare una linea di condotta europea con Ankara, ha dimenticato Siria e Libano, non ha difeso abbastanza la democrazia in Tunisia (malgrado le insistenze della Farnesina), non ha proseguito la penetrazione economica in Africa, ha litigato coi francesi per Tripoli pur sostenendoli in Mali: insomma, una politica di piccolo cabotaggio o di mera sopravvivenza a cui aggiungere il calo dei fondi della cooperazione.

Unico dato positivo (invero importante): l’Italia è uscita dall’ambiguità nella relazioni tra Usa e Cina, riportandosi su una linea atlantica. Occorre fare meglio: ci serve il coraggio di usare ogni leva per riscostruire l’immagine italiana nel mondo.

Ciò gioverà alla nostra economia e alla ripresa. L’autorevolezza di Mario Draghi è tale da dare il giusto impulso a queste urgenti sfide. 

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