Fin dalla più giovane età cerco timidamente di distogliere mia figlia dai modelli femminili stereotipati. Certo, se Marinette vuole fare una “cosa da femmine” gliela faccio fare, partecipo attivamente, mi femminizzo assieme a lei.

Giochiamo con le Barbie al centro equestre, racconto storie di unicorni e se insiste perché il regalo sia rosa le compro il maledetto regalo rosa - tutte cose che hanno poco a che vedere con la biologia femminile e molto con le sue forme culturali. Poi però le prendo delle cose che piacciono anche a me: i Transformers o le splendide action figure di Todd McFarlane. Ogni tanto ci incontriamo a metà strada, come nel caso dei minipony di Dungeons and Dragons.

Se deve decidere lei, Marinette preferisce comunque travestirsi da principessa che da vigilante mascherata, e fare la mamma di una tribù di peluche piuttosto che armeggiare con gli attrezzi da bricolage. La maggior parte dei genitori sperimenta l’emersione precocissima di tratti marcatamente di genere, e tutti giurano di non avere fatto nulla per incoraggiarli.

In questa fase a essere disperati sono i genitori di figli maschi, che non si capacitano di aver generato degli animaletti così rumorosi e casinisti.

La guerra dei maschi

Ho notato con curiosità come, alle prime avvisaglie di conflitto in Ucraina, la maggioranza dei compagni di classe di sesso maschile ha iniziato a inneggiare alla guerra come neanche Filippo Tommaso Marinetti nel 1915. E ho sentito con le mie orecchie questi angioletti parigini di sei anni chiedermi di tradurre in italiano parole come pistola, mitragliatrice, bazooka. Marinette me l’ha presentata come un’evidenza: «Ai ragazzi piace la guerra».

Queste segmentazioni culturali a quanto pare si delineano prestissimo. Ne ebbi un esempio tre anni fa, al primo giorno di scuola materna.

Allora osservai i bambini entrare nella classe e dirigersi spontaneamente ciascuno verso il gioco che preferivano. Mi ero annotato il risultato dell’esperimento.

Femminucce: quattro giocavano con una bambola di neonato, qualcuna vestendolo e le altre portandola in giro nel passeggino; una stirava col ferro, tra l'altro con notevole perfezionismo; Marinette giocava nella cucina, come il suo papà.

Maschietti: due giocavano con macchine e camion; due cucinavano, un terzo si è preparato un hamburger; uno leggeva; uno giocava col registratore di cassa. Per quanti sforzi faremo per attenuare le differenze di genere, esse continueranno a essere riprodotte fintanto che risponderanno a dei bisogni sociali.

Eppure fin dalla più giovane età cerco di distogliere mia figlia dai modelli femminili stereotipati. Perché lo faccio? La ragione ufficiale è che sono un padre moderno e non voglio ingabbiarla in quello stereotipo. Se fosse per me la vestirei sempre coi pantaloni: sarebbe più libera nei movimenti, non inciamperebbe nella gonna giocando. 

Transformes e pantaloni

Se crediamo al luogo comune, si comincia vestendosi da principessa e si finisce segretaria, hostess, crocerossina, casalinga, insomma relegata a uno spettro ristretto di professioni pur nobilissime. E io invece già la immagino meccanico prosolare, come le protagoniste di Love and Rockets.

In realtà dietro l'educazione progressista c'è sempre il sogno di una carriera borghese, insomma un calcolo opportunista.

Così si spiegano le strategie educative divergenti delle classi più agiate e di quelle meno agiate: l'emancipazione costituisce un chiaro vantaggio per chi può permettersi studi lunghi in un contesto culturale favorevole, ma un potenziale svantaggio per chi non potrà competere alla pari sul mercato del lavoro e rischia di doversi sottomettere alle leggi non scritte della propria comunità. Differenti razionalità di classe guidano differenti idee del genere. 

In ciò il padre moderno è il puro prodotto della classe media istruita. Ma dietro alla ragione ufficiale, progressista, e a quella più opportunista della sua lotta agli stereotipi sorge un sospetto: e se sanzionando certi tratti femminili, il padre moderno stesse rifiutando soprattutto il femminile come categoria culturale? E se il suo problema fosse proprio che alle Barbie al centro equestre preferisce i Transformers, alle gonne i pantaloni?

Ovviamente è così. La sfortuna di nascere nel mezzo di una crisi demografica è che non abbiamo abbastanza figli perché entrambi i genitori ne abbiano uno su cui proiettare sé stessi: bisogna spartirseli. Per fortuna Marinette fa la sua vita, sceglie liberamente tra gli stimoli contraddittori che le diamo, e se Dio vuole un giorno mi manderà a quel paese.

© Riproduzione riservata