Per la prima volta dal 1948, sabato scorso la guerra e gli scontri armati sono entrati in territorio israeliano. Solo nella mattinata di ieri il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha potuto dichiarare: «Abbiamo ripreso il pieno controllo del confine con Gaza».

Quattro lunghi giorni in cui sono state trovate montagne di corpi ammassati, almeno novecento, tra il deserto e i kibbutz a sud di Israele. «Raggiungeremo gli uomini di Hamas ovunque siano. Non hanno nessun posto dove nascondersi», ha detto ieri il portavoce dell’esercito israeliano, Daniel Hagari, preannunciando una imminente operazione via terra nella Striscia.

Mentre i soldati israeliani sono al lavoro per minare la linea di confine che corre tra Israele e la Striscia, molto probabilmente per rendere inagibili i tunnel scavati in zona da Hamas, continuano a piovere bombe sull’enclave palestinese. Interi quartieri sono stati rasi al suolo a Gaza.

L’attesa della reazione

Quando le Brigate Iz ad-Din al-Qassam, ala militare di Hamas, hanno lanciato l’operazione militare Alluvione sapevano che Israele non avrebbe fatto attendere la sua reazione, e sapevano che questa volta non ci sarebbe stata solo una pioggia di bombe ma il rischio della distruzione totale di Gaza. «Gaza non tornerà mai com’era prima», ha detto il minsitro della Difesa, Yoav Gallant.

Per quasi vent’anni, da quando nel 2007 Hamas ha preso il controllo della Striscia di Gaza, ai razzi lanciati da Hamas verso il sud di Israele Tel Aviv rispondeva con bombe sulla Striscia. Razzi rudimentali che ferivano coloni a sud di Israele, raramente uccidevano. Invece sempre a decine le vittime delle bombe israeliane nella Striscia. Era la potenza di fuoco di un gruppo armato al governo di una lingua di terra sotto l’assedio israeliano, ma soprattutto isolato.

Quando nel 2006 Hamas vinse a sorpresa le elezioni legislative mettendo in imbarazzo il maggiore partito palestinese, al Fatah, e quindi anche la Stessa Autorità Nazionale Palestinese, l’Anp rigettò il risultato trascinando i due principali movimenti di resistenza palestinese in uno scontro frontale. Hamas prese il controllo della Striscia mentre l’Anp rimase al comando dei territori occupati della Cisgiordania ma soprattutto fu confermato quale unico rappresentante riconosciuto dalla comunità internazionale.

Un ruolo importante ma di difficile gestione in un momento in cui l’Anp doveva fare i conti con la pesante sconfitta subita durante la seconda intifada nel 2005. Inoltre al neo-presidente Mohammud Abbas toccava rimpiazzare il leader dal grande carisma Yasser Arafat, morto nel 2004. La linea di Abbas fu sempre molto di difesa. L’obiettivo non era più rivendicare la propria terra ma la sopravvivenza del suo popolo lì dove era ormai confinato.

Diventare un regime

Hamas con i suoi razzi Qassam lanciati dalla Striscia verso il confine sud di Israele è la spina nel fianco dell’Anp e della sua politica remissiva. In Cisgiordania diede il via ad una pesante campagna di arresti dei combattenti di Hamas arroccati tra Nablus e Jenin.

«Il nostro problema è l’autorità nazionale palestinese», ci ha detto qualche mese fa un esponente di Hamas a Ramallah. «Sono loro che bloccano la nostra lotta».

Ecco come Israele ha vissuto oltre un decennio di relativa sicurezza e le grandi monarchie del Golfo e altri paesi arabi si sono avvicinati a chi sembrava aver già vinto, facendo scivolare con un moto rettilineo e uniforme la questione israelo-palestinese dalla loro agenda.

Nel frattempo, Hamas affaticata dall’assedio israeliano e dall’isolamento politico e alle prese con una popolazione sempre più allo stremo per le difficili condizioni di vita in quella che è a tutti gli effetti una prigione a cielo aperto, si è chiusa nel suo palazzo di comando passando da un movimento di resistenza a un regime. Hamas quasi ad un passo dalla fine di al Fatah.

La svolta 

Poi sabato 7 ottobre, con una operazione di cui non solo gli israeliani ma anche gli stessi palestinesi non credevano Hamas capace, le Brigate Iz ad-Din al-Qassam sono entrate in Israele provando la loro capacità di morte e distruzione. Quel giorno, cinque giorni fa, improvvisamente la politica dell’intera regione ha preso un nuovo corso.

Mentre i combattenti di Hamas ancora uccidevano e rapivano nel ventre basso di Israele, Mohammud Abbas che fino ad un istante prima aveva rinnegato Hamas e la sua politica del terrore si è affrettato a dichiarare: «Bisogna riconoscere ai palestinesi il diritto all’auto-difesa».

Il saudita Mohammed bin Salman, che invece stava per firmare gli accordi di normalizzazione con Israele ponendo la parola fine alla questione palestinese, ha chiamato Abbas garantendo totale sostegno alla causa palestinese.

Nel frattempo le bombe continuano a piovere su Gaza facendo pagare il prezzo delle scelte di Hamas a donne, uomini e bambini che con i combattenti forse condividevano solo la cella. E in quella Striscia di terra oggi rischiano anche i civili israeliani lì ostaggio.  

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