Il fallimento della Silicon Valley Bank è il principale argomento di conversazione finanziaria nel weekend, e la domanda è sempre la stessa: si tratta di una storia isolata o dell’inizio della slavina? Svb è la nuova Bear Stearns, banca ormai dimenticata il cui salvataggio nel marzo 2008 è stato l’anticipo di sviluppi ben più drammatici, come il fallimento di Lehman Brothers sei mesi dopo?

Ci sono molte varianti di questa domanda: il contagio da Svb riguarda tutto il settore bancario?

O soltanto quello della California? O magari è la spia – oppure l’innesco – di un crollo del settore tecnologico che da mesi soffre in Borsa?

E se invece significasse che il collasso è dal mondo delle criptovalute, da mesi al disastro, alla finanza tradizionale?

Le ipotesi

C’è un po’ di verità in tutte queste ipotesi, nei prossimi giorni si capirà quale è l’interpretazione più corretta. Di sicuro, alcuni dei problemi di Svb sono comuni a tutto il settore bancario: l’aumento dei tassi di interesse deciso dalla Federal Reserve per combattere l’inflazione riduce il valore delle obbligazioni non indicizzare in portafoglio. Chi ne ha troppe e ha costi che invece salgono col salire dei tassi, paga un prezzo.

Certo, banche più grandi dovrebbero avere rischi più diversificati. Ma nessuno si era accorto della gravità dei problemi di Svb fino a quando disperate manovre finanziarie non li hanno resi evidenti, con la vendita di un portfolio di asset da 21 miliardi, la conseguente perdita di 1,8 miliardi per minusvalenze e il fallimentare tentativo di trovare quei soldi sul mercato da investitori che sottoscrivessero azioni.

Fino a mercoledì Svb era solvente, poi la corsa agli sportelli di chi temeva di perdere i propri depositi ha determinato una uscita di 42 miliardi di dollari in un solo giorno che ha reso la banca incapace di stare in piedi e dunque è intervenuto prima il regolatore della California e poi quello federale che assicura i depositi che ha chiuso la banca.

Adesso si cerca un compratore, in sua assenza sarà inevitabile la liquidazione che per molti depositanti significa perdere le somme sopra la soglia assicurata di 250.000 dollari.

Altre banche rischiano la stessa fine? Difficile dirlo, in teoria no, ma il sospetto che ci siano rischi sottovalutati sta allarmando analisti e investitori.

Le altre banche

Più concreto il rischio che ci sia un problema specifico con la California e il settore tech: molte start up si trovano adesso i soldi per gli stipendi congelati dalla chiusura della Svb, evento che rischia di creare problemi operativi grossi a molte aziende.

Altre banche californiane legate al mondo tecnologico stanno soffrendo da settimane: Western Alliance ha perso il 35 per cento del valore di Borsa in un mese, First Republic Bank ha perso il 40 per cento. In queste ore stanno facendo di tutto per segnalare di non avere gli stessi problemi di Svb.

Silverergate Capital Corp, la holding di controllo, ha già chiuso nei giorni scorsi la sua Silvergate Bank, messa in liquidazione dopo aver perso il 96 per cento del valore di Borsa nell’ultimo anno (dovrebbe rimborsare tutti i depositanti).

Silvergate ha una cosa in comune con la Silicon Valley Bank: è una delle pochissime istituzioni finanziare tradizionali e regolate che operano con il mondo cripto, uno degli anelli di congiunzione tra la il sistema finanziario normale e quello delle blockchain e delle valute private che in teoria doveva rappresentare una alternativa libertaria e sicura.

Problemi cripto

La crisi di fiducia nel settore – che da tempo pare più una bolla speculativa dovuta all’eccesso di denaro a basso costo disponibile più che una rivoluzione in fieri – ha colpito Silvergate dopo il crollo (e le frodi) della piattaforma di scambio tra dollari e cripto Ftx.

Adesso il fallimento di Silicon Valley Bank ha già fatto crollare una cosiddetta stablecoin, USDC, cioè una criptovaluta che pretendeva di essere più stabile di altre perché garantita da soldi veri invece che soltanto da algoritmi.

Il problema è che 3,3 miliardi di dollari su 40 erano nei conti di Svb e ora non sono disponibili. Dunque, USDC è scesa nel cambio col dollaro sotto la parità, come dire che non è più stabile come prometteva.

Quindi il contagio va in entrambe le direzioni, dalle difficoltà del tech alla finanza e viceversa.

Per ora sembra ancora una tempesta controllata, l’ennesima di questi mesi, senza il potenziale per diventare qualcosa di più.

Ma in tanti stanno pagando in queste ore un eccesso di ottimismo e di fiducia nella capacità del sistema finanziario di adattarsi all’aumento dei tassi di interesse senza traumi.

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