Qual è il motivo per cui Paolo Ghezzi – come scrive sul Foglio del 5 agosto –  non riesce a comprendere il direttore dell’Avvenire Marco Tarquinio sul tema della guerra? Ghezzi guarda alle ragioni di chi combatte, di chi resiste in Ucraina; guarda cioè a chi la guerra la fa in reazione all’aggressione. Tarquinio guarda invece alla guerra in sé, alla sua natura. Sono due modi molto diversi di porsi davanti alla stessa tragedia.

I cattolici e l’inutile strage

La posizione cattolica sulla guerra è andata cambiando nel corso del ’900, dopo essere rimasta sostanzialmente immutata per secoli, ancorata alla teologia di Sant’Agostino – la guerra è legittima a certe condizioni date – malgrado tante voci diverse come  quella di San Francesco. Il cambiamento avviene nel papato di Roma ed inizia con la Prima guerra mondiale («l’inutile strage»), che Benedetto XV considerava alla stregua di una guerra civile tra cattolici, un terreno impossibile per la chiesa.

Progressivamente il papato romano ha approfondito tale rifiuto della guerra come strumento in sé, passando per tutti i papi del ‘900 che, un poco alla volta (e non tutto subito, come denota anche Ghezzi citando Pio XII), hanno iniziato a demolire la teologia precedente, fino a giungere all’idea che la guerra rappresenta il male in sé e per tale ragione va condannata e respinta in ogni caso.

Ghezzi si domanda: dunque tutte le guerre sono uguali? Non si giustifica nemmeno la guerra di resistenza? Certo non dal punto di vista di chi la fa o di chi la subisce: pare cioè sussistere un diritto all’autodifesa (anche se – come sappiamo – sull’autodifesa stessa ci sono diversissime opinioni…).

Tuttavia se si osserva più profondamente la guerra nella sua essenza, la si scopre come il male in sé e la risposta cambia. Secondo tale visione la guerra prescinde da chi la fa o la subisce, ignora le loro ragioni; tende a rendersi autonoma da chi la fa o la subisce – prova ne è che non è facile terminarla; ha un potere maligno sull’essere umano che deturpa trasformandolo.

La guerra non è mai una reazione naturale dell’uomo e per questo va respinta in blocco. Si tratta di un discorso religioso che guarda all’essenza del male e al suo potere sugli esseri umani – qui sta forse il nocciolo dell’incomprensione di Ghezzi per Tarquinio.

Una prospettiva illuminista

Eppure tale ragionamento ha anche una traduzione laica. Immanuel Kant lo diceva in modo convincente: «La guerra elimina meno malvagi di quanti ne crea». Punto. In altre parole: anche chi fa la guerra perché costretto a difendersi, si trasforma in peggio, diventando anch’egli strumento del male in sé. È la guerra il vero nemico dunque.

Se si guarda alle ragioni si può obiettare; ma se si guarda alla natura della guerra la cosa cambia. Si tratta di una realtà ineludibile: la guerra trasforma in peggio l’essere umano che combatte, anche quello che è costretto a farlo per resistere. Secondo la chiesa cattolica romana la guerra diviene com’era una volta la schiavitù o oggi ancora la pena di morte: qualcosa che si deve eliminare dalla storia, come sosteneva Luigi Sturzo.

La chiesa sa che su questo non c’è ancora consenso, nemmeno tra le sue fila ed è consapevole che la sua posizione può sembrare ingenua o talvolta ingiusta: lo stesso accadde per la schiavitù e succede oggi sulla pena di morte. Ma la chiesa sa anche che un mondo senza guerra è possibile.

La prova più cogente contro la natura della guerra come male in sé (e non un mezzo come un altro) è che la guerra non è controllabile dall’essere umano: possiede una sua logica interna che trascina gli uomini dove vuole lei; ha sempre conseguenze non calcolate; tende a diventare permanente ed è contagiosa.

Pandemia bellica

Guardiamoci attorno: guerra chiama guerra – «la guerra mondiale a pezzi» di papa Francesco – e un clima di guerra si sta espandendo accendendo tanti focolai già spenti, come il virus di una pandemia. Purtroppo anche chi è costretto alla guerra per difendersi ne è alla fine contagiato.

C’è un modo pragmatico per capire lo sguardo della chiesa sulla guerra: tutte le guerre degli ultimi decenni hanno dato pessima prova di sé, anche le più “giuste” o le più “giustificate”. Nessuna di esse ha risolto i problemi per cui era stata iniziata, nemmeno in Bosnia dove infatti minaccia di ricominciare.

Contemporaneamente non si negano i crimini e massacri (da Srebrenica a Bucha) commessi: il tema è come fare perché non si ripetano perché la guerra cela sempre i peggiori misfatti, come la strage degli Armeni o la Shoa.

Il metodo per dirimere o reagire alle contese non può essere la guerra stessa che diviene un ingranaggio che schiaccia ogni volontà, anche quella di chi si difende. La guerra come male in sé è più forte delle ragioni invocate per farla; porta sempre fuori strada; alla fine non funziona.

È ormai chiaro che ogni aggressore, anche se all’inizio può sembrare vittorioso, alla fine perde la faccia e l’onore, come abbiamo visto in ogni continente. Semplicemente Tarquinio vuole constatare il fallimento dello strumento: la guerra – ogni guerra dunque – appare un mezzo obsoleto, superato ed inefficace. Alla fine resta solo la sua malignità: il suo trasformare tutto in congegno malvagio che trascina i popoli come fossero burattini, verso dove non vorrebbero andare.

Per la chiesa cattolica la guerra in Ucraina è soprattutto una guerra tra cristiani che scandalizza i credenti. Questo tra l’altro distrugge lo scenario dello scontro fra civiltà: come vediamo le guerre si fanno dentro le civiltà.

Infine un’osservazione sul paragone con la Seconda guerra mondiale: non è più sostenibile dal 6 agosto 1945, cioè dallo scoppio della bomba atomica. Dopo quella data cambia la storia ed anche la guerra. Il conflitto in Ucraina coinvolge una potenza nucleare: pensare di rischiare quel tipo di guerra è davvero un azzardo che il male non può convincerci a compiere.

Resta in ogni caso la riposta che Gandhi diede al giornalista che gli chiedeva cosa avrebbe fatto se si fosse trovato lui davanti al nazismo: avrebbe usato la medesima tattica della non violenza? Il Mahatma rispose: «Certamente sì, anche se a costo di enormi sofferenze».

A provvisoria conclusione si può solo aggiungere che discutere di pace e di guerra è sempre utile, ma conviene farlo in maniera non polemica. Si tratta di un tema troppo importante per il destino dell’uomo, da essere trattato con il gusto della controversia. 

© Riproduzione riservata