Ci tocca rimpiangere Silvio Berlusconi. Almeno ai suoi tempi certe cose venivano rivendicate: la legge elettorale era una “porcata” per l’ammissione stessa del suo estensore, ai giornalisti si faceva il gesto della mitraglietta in conferenza stampa, i condoni si chiamavano condoni e non “paci fiscali”, il diritto a evadere le tasse veniva rivendicato senza pudori. Il sessismo era rivendicato fin nelle barzellette, invece che praticato con discrezione. 

Questa destra fa le stesse cose, ma è vittima del politicamente corretto che tanto contesta: crede che basi cambiare le parole per mascherare la realtà (non si capisce perché, poi, temono il giudizio dei vituperati intellettuali di sinistra?)
L’ultimo caso è quello del codice degli appalti: Matteo Salvini, da ministro delle Infrastrutture, si batte e ottiene che sotto la soglia di 5,3 milioni di euro le stazioni appaltanti non abbiano obbligo di gara, useranno procedure negoziali e affidamenti diretti.

Per semplificare al massimo, ci può essere appalto integrato, subappalto senza limiti, e infine bisogna aspettare la condanna definitiva per l’illecito professionale in materia di appalti.

In pratica spariscono le gare, le stazioni appaltanti daranno i lavori a chi credono loro. Senza vincoli.

Il presidente dell’Anac Giuseppe Busia, uno molto mite e pragmatico, non certo un provocatore, si limita a osservare che se fino a 150mila euro ci sono gli affidamenti diretti, nei piccoli Comuni c’è il rischio che gli appalti vadano a “il cugino o anche chi mi ha votato, e questo è un problema”.

Salvini gli chiede di lasciare l’Anac, forse perché a una autorità anti-corruzione sogna di mettere qualcuno che elogi la corruzione invece che segnalare qualche cauta perplessità.

Ma questa destra è così, chiede e prova ad attuare il blocco navale, ma alla prima strage nega ogni responsabilità; cancella il reddito di cittadinanza ma poi vuole che i poveri ringrazino per una versione liofilizzata chiamata, chissà perché, Mia; fanno i condoni ma cercano di metterli dove nessuno li vede, tipo il decreto bollette; parlano di utero in affitto ma quello che vogliono è complicare la vita alle coppie omosessuali, però sanno di non poterlo dire.

Forse il problema è che c’è troppa condiscendenza. Nessuno osa più chiamare le cose col loro nome: questo governo sta legalizzando l’evasione fiscale e la corruzione, lascia morire i migranti in mare per dare l’esempio a quelli che pensano di partire, isola l’Italia dai paesi civili perché come modello ha l’Ungheria di Viktor Orbàn, condanna il sistema industriale a restare ostaggio di lobby e filiere che si oppongono alla transizione ecologica perché pensano – nel loro provincialismo – di poterla fermare.

Il potere ce l’hanno loro ma le parole, almeno quelle, nonostante le querele, ce le abbiamo ancora noi. E possiamo opporci al tentativo di imporci la loro neolingua di propaganda.

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