Siamo sempre alle prese con la lotta faziosa dei Guelfi e dei Ghibellini, a loro volta divisi in fazioni per giungere alla fine ad una contesa tra individui. L’invasione russa dell’Ucraina ha come una lente di ingrandimento esaltato questo nostro carattere nazionale.  

Con risvolti poco edificanti, non solo perché il chiacchierare in pubblico genera molto raramente più conoscenza e quindi approfondimento, ma anche perché inchioda i partecipanti, e con essi i cittadini che vi si identificano, a posizioni che si congelano per resistere.

La deliberazione pubblica diventa, così, inutile. Quasi che lo scopo non sia parlare di guerra e di pace, ma  delle proprie posizioni.  

Il dialogo pubblico diventa come giostra con sempre  nuovi antagonisti che ripetono lo schema, per cui nella discussione su guerra e pace in Ucraina sono un po’ tutti guerrafondai nello stile.

I pacifisti radicali sono altrettanto intolleranti degli interventisti radicali, con l’esito di promuovere una logica binaria che ha poco mordente sulle cose e su chi decide.  

Ci troviamo quindi con il paradosso di una discussione al calor bianco che ha nei fatti incidenza solo su se stessa, avvitandosi in una difesa delle proprie antagonistiche rigidità.

In tutto questo la “cattiva maestra” televisione di cui parlava Karl Popper ha una responsabilità non secondaria.

I talk show esistono in tutti i Paesi, ma non sono altrettanto aggressivi; sono più gentili e più genuinamente di discussione. I nostri sembrano concepiti per creare un ambiente battagliero, che cerca e premia il contrasto. Lo spettacolo ne è lo scopo, anche perché più c’è spettacolo più c’è audience e più i pubblicitari sono contenti.

La coreografia è funzionale a questo scopo; gli ospiti in studio sono generalmente messi l’uno di fronte all’altro quasi a voler facilitare la polemica e la “rissa”. 

Se fossero disposti in modo tale da essere rivolti verso i telespettatori, “costretti” a guardare ad un pubblico, forse sarebbero indotti ad essere meno aggressivi e più attenti a capire e a spiegare.

In questo contesto il dualismo solipsistico tra le sfera pubblica di discussione e chi prende decisioni è straordinario.

Da un lato vi sono le istituzioni e chi le governa che prendono decisioni che non rispecchiano o rispecchiano molto tangenzialmente le opinioni che crescono e si manifestano nel pubblico che sta fuori; dall’altro, vi è una sfera pubblica di discussione così balcanizzata e litigiosa al proprio interno da diventare, nonostante il rumore che fa, inefficace, incapace di incidere sulle decisioni.

Per esempio, l’opinione sulle spese militari tanto severa, polemica e critica ha alla fine un effetto minimo o nullo. 

L’opinione abbaia molto e spesso ma non ha la forza di intimorire che dovrebbe invece temerla. Tanto aggressività al proprio interno e tanta inefficacia nell’incidere sulle scelte politiche.

© Riproduzione riservata