Ray Charles lanciò la sua versione jazz, struggente e dolcissima, di Georgia on my mind (scritta nel 1930 da Hoagy Carmichael e Stuart Gorrell) nel 1960, a cinque anni dal boicottaggio dei bus in Montgomery, Alabama, che l’arresto di Rosa Parker ne aveva fatto un imponente movimento contro la segregazione razziale e che il reverendo Martin Luther King Jr. trasformò nel più grande movimento americano per i diritti civili.

Il Voting Act del 1965 traduceva in legge quegli oltre dieci anni di lotte, proibendo la discriminazione razziale e ogni qualificazione al diritto di voto. Ray Charles, che era un repubblicano, cantò Georgia on my mind davanti all’assemblea legislativa del suo stato nel 1979, e ne fece un inno di riconciliazione razziale.

Oggi la Georgia è il simbolo di una nuova frattura, la più classica: quella tra l’uso del potere e le regole costituzionali. Ma è anche il campo di una nuova stagione politica per i democratici.

Le elezioni che si sono tenute martedì in Georgia devono assegnare i due seggi vacanti al Senato. Vedono in testa i democratici, con Jon Ossoff, un impresario di docufilm, e il reverendo battista Raphael Warnock, che ha già proclamato la vittoria ed è il primo afro-americano georgiano eletto al Senato. La vittoria, a questo punto possibile, dei due senatori democratici, sarà cruciale per la presidenza Biden che non dovrà così subire il potere di veto del Senato.

Ben Gray

L’importanza della Georgia l’ha ben compresa l’egocrate Donald Trump, che ha telefonato al governatore repubblicano per dirgli di “dargli” i 11.780 voti che gli servivano per vincere, e che ora chiede al suo vice Mike Pence di bloccare la certificazione (che spetta al Congresso) della vittoria di Joe Biden, un potere che Pence non ha, visto che “certificare” significa attestare non assegnare la vittoria elettorale.

Intanto, Trump porta a Washington i suoi holligan, i più oltranzisti e fondamentalisti tra i repubblicani, ormai un partito nel partito. Sono convinti che il neo presidente sia illegittimo, che la Casa Bianca verrà abitata da un tiranno, che resistere contro la tirannia di Biden sia patriottico.

La nuova frattura 

La Georgia è la trincea di una nuova frattura dunque, che fende l’ordine costituzionale stiracchiandolo fino alla rottura. Una lotta per il potere all’interno dell’élite politica che rischia di tracimare proprio perchè il leader populista aizza il popolo usandolo come forza anti-istituzionale. L’America è una moderna versione delle lotte civili che hanno portato al declino dell’antica repubblica romana.

Ma in Gerogia si gioca anche una battaglia positiva. Se confermata, la vittoria dem sarà importante per la nuova identità del partito democratico.

Grazie a Stacey Abrams, la leader politica georgiana che ha dedicato un decennio a ricostruire il partito, portandolo nei territori più perferici, con assemblee e discussioni sui problemi vicini e sulle prospettive politiche nazionali.

Se la Georgia cambierà il segno del Senato americano sarà per questa intelligente democratica che ha compreso una cosa semplice: il partito politico è la spina dorsale della democrazia elettorale ma non deve essere solo una sigla elettorale; deve organizzare il consenso politico, strappando questa funzione ai media, che sono diventati sovrani sottotraccia della democrazia dell’audience.

Martedì notte, Abrams ha scritto su Twitter che la vittoria che verrà sarà delle migliaia di «organizzatori, volontari, sostenitori e instancabili gruppi» di democratici che hanno aiutato a ricostruire il partito dopo le lezioni del 2011, quando lei divenne la leader di minoranza alla Camera della Georgia. Abrams ha compreso che la debolezza dei democratici era da ascriversi alla “infrastruttura politica”, che non riusciva a coagulare le minoranze, quelle degli afro-amercani ma anche dei latino- e gli asiatici- americani. Unificare le minoranze attraverso un lavoro capillare guidato dai movimenti dal basso sulle questioni locali e sulle prospettive nazionali di riforma – sul salario minimo, sui diritti riproduttivi, sulla scuola pubblica.

Ora, anche la stampa e gli esperti devono riconoscere l’importanza di questa strategia per non stupirsi della vittoria di Biden in Georgia, come invece hanno fatto.

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«Non ci siamo stupiti quando la Georgia è diventata blu, perchè stavamo lavorando da quasi quindici anni», ha dichiarato al New York Times Deborah Scott, la fondatrice del movimento Georgia Stand Up, dopo la vittoria di Biden alle presidenziali di novembre.

Sono in maggioranza donne quelle che hanno guidato la politica della ricostruzione del partito in questo decennio.

E’ stata una battaglia “tutta in salita” ha detto Felicia Davis, una veterana dell’organizzazione nella contea di Clayton, in Georgia: «Perchè noi non siamo semplicemente donne, ma donne del Sud. E non siano semplicemente donne del Sud, ma donne nere del Sud».  Non è la politica delle identità, che spezza e depoliticizza i problemi sociali, che riuscirà a fermare la marea populista, oggi guidata da Trump (e che non sarà l’ultima).

Non è la divisione in etno-culture, ma l’unità di cittadinanza attraverso il partito politico a fare da argine alla manipolazione demagogica dei leader populista. Il messaggio vale per tutti i paesi democratici.

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