La Questione meridionale? Si chiederebbe Don Abbondio di questo Carneade che, senza risalire all’Italia come nazione, attraversa la storia della Repubblica. Nel primo discorso al Senato, il presidente del Consiglio Draghi erano molte le cose dette ma anche molte quelle taciute: non aveva speso una sola parola sul Mezzogiorno. Nella replica, sempre al Senato, Draghi è stato assai più convincente nell’elencare le priorità del suo governo: esse saranno cambiamento climatico, pandemia, scuola ed europeismo, Mezzogiorno, povertà, divario di genere. «Questo – ha concluso  - e lo spirito repubblicano del mio governo».

In altri passaggi ha fatto riferimento agli anni duri del secondo dopoguerra, nel corso dei quali forze politiche tra loro molto diverse hanno collaborato per il bene della nazione e si  posero le basi per affrontare la ricostruzione morale e materiale del paese.

Nel corso di quegli anni si tornò a parlare di questione meridionale e il Mezzogiorno impegnò per almeno due decenni forze politiche, intellettuali e imprenditori che hanno perseguito, in modi diversi  e non sempre congruenti tra accelerazioni e stasi, l’obiettivo di fare del Mezzogiorno una società economicamente libera e socialmente aperta capace di camminare sulle proprie gambe.

Una società che fosse capace di liberarsi dal cappio di mafia, camorra, ‘ndrangheta o corona unita: mali endemici che attraversano la storia Paese e non hanno più una secolare connotazione geografica, ma hanno invaso l’intera penisola: quella “linea della palma” di cui diceva Leonardo Sciascia.

Non è solo la criminalità il problema: con la sua sobrietà Draghi ha indicato gli obiettivi da perseguire: occupazione, specie femminile, attrazione degli investimenti, consolidamento delle amministrazioni meridionali «a spendere e spendere bene» gli investimenti in base alla Next Generation Eu.

I dilemmi del Recovery Fund

Non ha aggiunto come in passato, ma noi sappiamo che il Sud è un contesto deteriorato per molteplici ragioni con indici di vivibilità tra i più bassi d’Europa. Il problema riguarda direttamente il nuovo governo Draghi che dovrà affrontare subito la divisione tra Nord e Sud quando dovrà decidere come utilizzare le risorse del Ricovery Fund.

Il presidente Draghi sa bene quali e quante siano le resistenze politiche per perseguire una politica di bilanciamento e di riequilibrio nell’interesse non solo del Sud ma dall’intero Paese. Draghi ha un credito risaputo nell’Ue che ha segnalato in numerose occasioni la necessità di riservare la maggior parte delle risorse italiane allo sviluppo del Mezzogiorno: Draghi ha detto che i finanziamenti al Sud sono condizione essenziale per il rilancio dell’economia nell’intero paese. Così come lo sono l’europeismo e l’ambientalismo pilastri fondanti del suo programma.

Certo, non ci sarà consenso dalla Lega, a conferma del fatto che il governo ha nella sua articolazione una forte e inequivocabile connotazione nordista. Bene tredici ministri su ventitre provengono dal Lombardo-Veneto di teresiana memoria. Ma la provenienza territoriale non è di per sé rilevante: infatti nella storia della Repubblica Einaudi, Cenzato, Morandi, Saraceno, Vanoni e Pastore erano tutti di origine non meridionale. L’importante è di certo capire cosa intendano fare.

Il ministro allo Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti della Lega non possiamo dire come si muoverà: ma con un po’ di malizia conviene chiedersi se a  lui sta cuore più la “questione settentrionale” o “la questione meridionale”.  La riconversione rocambolesca della Lega a partito europeista è sufficiente perché la Lega condivida il bilanciamento territoriale? Sarà la Lega capace di rinunciare almeno a una parte della sua conclamata “padanità” e alla spiccata vocazione “secessionista”?

Certo continua a preoccupare il fatto che la Lega si muova come partito di lotta e di governo. Sarà necessaria una tregua e l’incontro tra Nicola Zingaretti e Matteo Salvini è uno spiraglio.

L’oggettivo indebolimento della rappresentanza meridionale nel governo, non è motivo sufficiente perché il Mezzogiorno con le sue rappresentanze politiche, con i suoi imprenditori presenti anche la nord, con la sua classe dirigente in senso lato stiano a guardare.

L’economista presidente della Svimez Adriano Giannola ha ricordato al Mattino che il dramma italiano è che il Nord è in crisi pesante e da anni, sottraendo risorse al Sud ha finito per mettere nei guai anche il Nord stesso». Nel governo Conte II c’era il ministro Peppe Provenzano a cui va il merito di aver rimesso il Mezzogiorno nell’agenda di governo: il non averlo confermato è stata una sorpresa. Ma qui entra in ballo il gioco (o giogo?) dei partiti a cui neppure Draghi ha potuto sottrarsi.

Il divario nelle infrastrutture 

Nel Ricovery Plan quasi 15 miliardi sono destinati alla Tav: il presidente della Rete ferroviaria italiana Vera Fiorani, in audizione alle commissioni Bilancio e Trasporti della Camera, ha detto che per ridurre il forte divario infrastrutturale tra Nord e Sud è elemento centrale lo stanziamento del 39 per cento al Sud: in larga parte assorbito dalla Salerno-Reggio Calabria: ma restano fuori la Napoli-Bari verso Reggio Calabria e la Palermo-Messina.

Per fortuna è scomparso, con il suo ultimo e maggiore promotore Matteo Renzi, il malaugurato Ponte di Messina. Ma Salvini è già tornato alla carica.

Il nuovo ministero alla Transizione ecologica è nel mani di Roberto Cingolani, uno scienziato di chiara fama, che dovrà impostare la spesa di 37 miliardi del Ricovery italiano e a lui spetterà il compito di concepire un piano di crescita sostenibile di lungo periodo, in sintonia con il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini e con il ministro Vittorio Colao a cui spetta il compito della Transizione digitale del Paese.

La parola adottata di "transizione” per due ministeri così importanti indicano che è passaggio da una condizione ad un’altra ed essa interessa il clima, l’ambiente, il territorio con le aree urbane.

Quanto conta il turismo

E veniamo al Turismo, il cui ministero con una sua autonomia è nelle mani di Massimo Garavaglia, esponente storico della Lega con notevole esperienza amministrativa. Il turismo in Italia dà lavoro a quasi 300mila persone e vale circa il 14 per cento del Pil considerati gli effetti indotti: è anche in stretta sintonia con la Cultura con un ministro come Dario Franceschini di comprovate capacità e serietà gestionale. Su questo tema Draghi ha detto parole che inorgogliscono ogni italiano, a prescindere da come votano.

È inutile dire che il settore turismo-cultura - a cui spettano 3,1 miliardi del Recovery Plan – ha subito una forte frenata a causa del Covid-19: ad esso verrà chiesto di incrementare il livello di attrattiva del sistema attraverso la modernizzazione delle infrastrutture materiali e immateriali.

La formazione e il potenziamento delle strutture ricettive con investimenti strategici di lungo periodo. E qui si torna al Mezzogiorno che dispone di risorse straordinarie che non vale sciorinare:  ma in generale il turismo del Sud non è supportato da un sistema di attrezzature adeguate al suo sviluppo economico e sociale.

Si attende di capire quanto ad esso spetta di quei 3,1 miliardi di cui si è detto.

Draghi con i ministri per l’Economia e la Transizione ecologica a lui più vicini, con il solidale sostegno del presidente Mattarella che conosce le piaghe del Mezzogiorno per drammatica esperienza personale, apre una prospettiva alla vecchia ma purtroppo irrisolta questione meridionale.              

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