Pandemia, guerra, siccità, mancano le cavallette e sembrano le dieci piaghe d’Egitto. Ma qualcuno ha, giustamente, già fatto notare che in Sardegna sono arrivate anche quelle. Per allontanare i mali che ci affliggono, l’arcivescovo di Milano Mario Delpini ha proposto una veglia di preghiera  il 25 giugno, almeno per far tornare la pioggia e dare respiro ai nostri fiumi.

Con tutto il rispetto, una concezione un po’ superstiziosa della preghiera, come fosse uno scambio dare avere, sul modello delle antiche danze propiziatorie. La preghiera ha certamente un ruolo cruciale anche nella tradizione monoteistica, dove coincide con la capacità di superare i limiti e le costrizioni a cui ci costringe la condizione presente.

Come attingere ad un serbatoio di senso, che riesce ad orientare la nostra vita verso il futuro, senza farci schiacciare dalle avversità, per quanto gravi possano essere.

Il senso della preghiera

Primo Levi, da laico qual era, riconosceva quanto le preghiere, il rispetto delle ritualità religiosa, aiutassero gli ebrei osservanti dell’Europa dell’Est, con cui condivideva l’esperienza dei campi nazisti, a sopportare il peso della tragedia.

La teologia si è lungamente interrogata sul senso della preghiera ad Auschwitz. La risposta non può che essere che ha senso pregare soprattutto ad Auschwitz, quando la richiesta di senso si fa più urgente. Più è difficile la condizione che viviamo, più è motivata la preghiera.

Quando non si ha più la forza di pregare, non resta che l’orizzonte della morte, come ci ha definitivamente insegnato quel particolare ebreo che è stato Shaul di Tarso, da noi conosciuto come Paolo. Una volta ritrovato un futuro, però, bisogna anche agire di conseguenza per raggiungerlo, costruendo i mezzi e le strategie per dargli forma.

Per intenderci, inutile piangere il ritorno del virus (ma se n’era mai andato?) quando l’unico modo in cui lo si affronta è un gigantesco atto di rimozione collettiva, che ha il solo risultato di sacrificare gli spazi di libertà che i vaccini ci hanno regalato. O si modificano i comportamenti fino all’emergere di una cura definitiva o di un vaccino universale che impedisca il contagio per una lunga durata, oppure saremo sempre qui a dimenarci fra stop and go.

Bisognerebbe

Israele, dal primo giugno, ha deciso di eliminare persino le quarantene per i positivi e ora, fra una crisi di governo e l’altra, valuta di reintrodurre le mascherine sui mezzi pubblici e nei luoghi chiusi affollati. Inutile piangere la carenza d’acqua quando sono anni che climatologi e agricoltori denunciano aumenti delle temperature, periodi senza pioggia sempre più prolungati, fenomeni atmosferici estremi.

Bisognerebbe, ci dicono, creare più invasi, non sprecare l’acqua piovana, introdurre metodi di irrigazione molto più mirati (la famosa irrigazione a goccia che in Israele ha permesso di far fiorire campi nel deserto).  E mille altri rimedi che la tecnologia e le conoscenze attuali ci consentono. Sulla guerra, siamo a parlare su cosa si sia fatto per prevenirla in questi otto, lunghi anni. Risposta: nulla.

Così come tutti sanno che arriveranno terremoti, ma non si riesce a mettere in atto un minimo piano di riqualificazione edilizia. Così come siamo ancora alle prese con le case alle pendici dei vulcani.

«Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e animali selvatici, con tutti gli animali che sono usciti dall'arca, con tutti gli animali della terra. Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra»

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