Tra meno di un mese l’Italia andrà al voto. Lo farà con circa il 30 per cento della sua terra ad alto rischio desertificazione e con un’emergenza idrica senza precedenti, con centinaia di comuni che da settimana sono supportati dalla Protezione Civile per garantire l’approvvigionamento idropotabile della popolazione.
A questo si somma il problema della dispersione idrica, con gli oltre 600mila chilometri di rete che perdono circa il 40 per cento di acqua a fronte della media europea che si attesta all’8 per cento.
Di questa drammatica situazione, che comporta notevoli ripercussioni per l’agricoltura e gli allevamenti, in campagna elettorale non parla nessuno.
L’Italia tra meno di un mese andrà al voto con un tasso di utilizzo dell’indennità di disoccupazione agricola pari al 52 per cento dei lavoratori del settore, una cifra quasi cinque volte superiore alla media dei dipendenti del settore privato che è del 10,5 per cento.
Sul fronte dei consumatori, la situazione non è così diversa. L'Italia andrà al voto con 65 kg di cibo sprecato all'anno, molti di più della media europea; con 18 milioni di italiani in sovrappeso, tra cui 5 milioni di obesi e 4 milioni di italiani, la maggior parte donne adolescenti, affetti da disturbi del comportamento alimentare.

L’astensionismo

Ma “l’Italia andrà al voto”? Se consideriamo le ultime elezioni politiche la percentuale di astensionismo ha raggiunto il 30 per cento soltanto nella fascia tra i 18 e i 30 anni e le previsioni annunciano un’astensione ancora crescente. Un paradosso. Perché nonostante l’alto astensionismo ognuno di noi ogni giorno compie 200 scelte alimentari e su ognuna di queste esprime un voto.

Si votano i modelli che sottendono l’acquisto di quel determinato cibo. Si votano gli ingredienti. La biodiversità che li caratterizza. Si votano i produttori, il canale distributivo che si sceglie, si vota chi ha proposto quel determinato packaging, si votano le food policy che permettono di governarne il processo, si vota la filiera, l'attenzione alla stagionalità, la qualità, la connessione con la salute, con il pianeta, con il clima, con la sostenibilità, le etichette, le politiche che le impongono in quel modo, il modo di consumarle, di non sprecarle o persino di sprecarle, di buttarle producendo quel terzo di spreco rispetto a quanto si produce che determina oltre 3 miliardi di tonnellate di gas serra.
Ci sarà una concordanza tra i 200 voti al giorno che esprimiamo attraverso le nostre scelte alimentari e il voto che esprimeremo il 25 settembre, rispetto ai programmi sulle politiche proposte per cibo, alimentazione, agricoltura e ambiente? Oppure sceglieremo la strada della discordanza?

Il cibo il voto

Il mio cibo è il mio voto. La dieta mediterranea, il modello che corrisponde alla soluzione di tutti gli elementi elencati, dall'ambiente alla salute, dalla lotta agli sprechi alla giustizia sociale, è il mio voto. Ma purtroppo è il grande assente di questa tornata elettorale.
I programmi politici parlano di Made in Italy, di Italian sounding, di vocazione del Paese, ma ancora si fa fatica a collegare i modelli di ecologia integrale e sviluppo sostenibile a quelli di agricoltura rigenerativa. In un Paese come il nostro, a rischio desertificazione, siccità e in emergenza idrica, affrontare questi temi e mettere in campo una visione strategica di lungo periodo non è più un opzione ma una necessità non più procrastinabile.

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