Tra i molti temi che animeranno il dibattito europeo nei prossimi mesi sarà centrale quello della riforma delle regole di bilancio europee. Nel marzo 2020 la Commissione europea ha attivato la clausola di sospensione del patto di Stabilità per consentire ai governi di contenere la pandemia.

Negli anni Novanta, infatti, l’Unione europea si era dotata di regole di bilancio stringenti volte a limitare le politiche discrezionali da parte degli Stati.

Il patto di Stabilità, introdotto nel 1997, postula che i governi dovrebbero rinunciare a ogni spesa in deficit, limitandosi a far agire gli stabilizzatori automatici (variazioni del bilancio pubblico indotte dalle fluttuazioni cicliche dell’economia).

Si trattava di regole coerenti con lo spirito del tempo, che si affidava all’operare dei mercati per assorbire le fluttuazioni del PIl, attribuendo alle politiche macroeconomiche (in particolar modo alla politica di bilancio) un ruolo limitato.

Nel nuovo mondo 

Con la crisi finanziaria globale del 2008 è diventato chiaro che i “mercati efficienti” non erano in grado assorbire lo shock della crisi ed evitare una depressione come quella degli anni Trenta.

Una depressione evitata, nel 2009, grazie a politiche monetarie aggressive e soprattutto ai massicci stimoli di bilancio (prima del catastrofico ritorno all’austerità, soprattutto in Europa).

Con la pandemia la politica macroeconomica è stata definitivamente sdoganata ed è stata al centro non solo della reazione emergenziale ma anche, con gli investimenti pubblici del Recovery, dello sforzo per la ripresa e per la trasformazione delle nostre economie.

La crisi del 2008 ha dato il via ad un dibattito ancora in corso sul ruolo rispettivo di Stato e mercati nel regolare l’economia; non è affatto sicuro che i partigiani dell’austerità abbiano detto l’ultima parola.

Tuttavia, è improbabile che si ritorni al consenso precrisi per cui le politiche di bilancio non avrebbero nessun ruolo da svolgere nella stabilizzazione macroeconomica e nell’investimento. Soprattutto per beni pubblici globali come la transizione ecologica o la protezione sociale, sono pochi oggi gli economisti e i policymaker che negano l’importanza della mano pubblica.

È per questo che la discussione sulle regole di bilancio è di importanza capitale. È significativo che la Commissione abbia lanciato un processo di consultazione sulla riforma delle regole prima che la pandemia colpisse e che il Patto fosse sospeso; ed è anche importante che a più riprese i commissari Gentiloni e Dombrovskis abbiano sottolineato l’importanza di arrivare ad una nuova regola prima della fine della sospensione, nel 2023.

Vista l’evoluzione delle finanze pubbliche dal 2020, non è concepibile che si ritorni al Patto nella sua forma attuale, che richiede ai paesi di tornare al 60 per cento di debito in venti anni al massimo.

Il Recovery permanente

È fondamentale, tuttavia, che la discussione sulle regole sia separata da quella sulla creazione di una capacità di bilancio europea (una qualche forma di Recovery permanente).

Nell’Unione europea di oggi i governi locali (gli Stati) sono limitati da regole molto stringenti e il governo centrale non ha una vera capacità di bilancio; per dotarci di quella capacità di reazione agli shock che oggi non esiste, dunque, si possono prendere strade diverse.

Si può decidere di crearla a livello centrale, dotando gli organi comunitari di una capacità di spesa (e di tassazione) da mettere al servizio di investimenti e spese anticicliche; a quel punto, le regole per i singoli Stati possono rimanere restrittive come sono oggi.

È il modello degli Stati Uniti (e di ogni Stato federale), dove i singoli stati hanno rigidi vincoli di bilancio in pareggio, ma il governo federale usa la leva di bilancio con decisione e senza vincoli. Oppure, se si considera (legittimamente) che la creazione di una significativa capacità di bilancio centrale, in un sistema che rimane non federale, è farraginosa, si deve dare spazio alle politiche di bilancio a livello locale, con regole molto più permissive del Patto di Stabilità.

Insomma, quale sia la regola di bilancio “ottimale” dipenderà dalla direzione che prenderà il dibattito sul Recovery permanente, in base al principio per cui è necessaria la creazione, a livello nazionale o sopranazionale, di quella capacità di bilancio che è oggi assente. È un concetto che non sembra oggi sufficientemente sottolineato da chi anima il dibattito sulla governance europea.

Il rischio 

Nei prossimi mesi la Commissione farà una proposta di riforma del Patto. Finora non c’è stata nessuna comunicazione ufficiale, ma circola l’ipotesi che la Commissione si orienti verso una sorta di “regola d’oro verde”, che scomputerebbe dai parametri di Maastricht gli investimenti verdi.

Un think tank di Bruxelles ha elaborato una proposta in tal senso quantificando in centinaia di miliardi i bisogni nella prossima decade legati alla transizione ecologica.

Chi scrive è fin dai primi anni Duemila tra i partigiani di una regola d’oro, che sarebbe equa dal punto di vista intergenerazionale (si lascerebbe alle nuove generazioni capitale pubblico insieme al debito usato per costituirlo) e consentirebbe di invertire la tendenza sempre più drammatica verso la riduzione dell’investimento pubblico.

Se fosse confermata, l’introduzione di un trattamento preferenziale per l’investimento costituirebbe certamente un importante passo avanti.

Tuttavia, è improbabile che una regola d’oro verde sarebbe sufficiente a dare agli Stati lo spazio di manovra necessario per l’utilizzo delle politiche di bilancio.

Al contrario, occorrerebbe adottare una “regola d’oro aumentata”, che consenta agli Stati di scomputare dal deficit le spese in attivi immateriali come l’istruzione e la sanità che contribuiscono alla crescita di lungo periodo almeno quanto l’investimento in senso contabile.

Se una regola d’oro verde si rivelasse la sola strada percorribile per ragioni di equilibrio politico, sarebbe necessario che la Commissione lanciasse contestualmente il dibattito sulla creazione di una capacità di bilancio centrale, a questo punto ineludibile.

In caso contrario, il rischio è che nonostante qualche cambiamento cosmetico l’Unione Europea di domani finisca per assomigliare a quella di ieri, incapace di utilizzare la politica macroeconomica per sostenere la crescita e contrastare le fluttuazioni cicliche.

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