Avevamo preannunciato che il trattenimento generalizzato dei richiedenti asilo provenienti da paesi sicuri, nonché la garanzia finanziaria di circa 5.000 euro per evitare tale trattenimento, sarebbero incorsi in rilievi di legittimità. E così è stato.

La recente pronuncia della giudice del tribunale di Catania, Iolanda Apostolico, che non ha convalidato il trattenimento di migranti disposto dal questore, conferma i dubbi che avevamo sollevato. E soprattutto infligge un colpo alla strategia del governo in tema di immigrazione, facendo saltare alcuni tasselli normativi.

Il trattenimento

Uno di tali tasselli è il trattenimento, vale a dire uno stato di “detenzione” amministrativa, cui sono assoggettati per quattro settimane i richiedenti asilo provenienti da paesi sicuri e privi di documenti di riconoscimento.

Esso è connesso alla procedura accelerata “di frontiera” cui tali migranti sono automaticamente sottoposti in base al cosiddetto decreto Cutro. Verso la loro richiesta di asilo c’è una presunzione di infondatezza, che rende complesso per loro provare di aver diritto alla protezione, e perciò il governo li reputa destinati al rimpatrio, tanto da aver disposto che possano essere detenuti pure nei Cpr.

La pronuncia smonta il trattenimento dei richiedenti protezione internazionale come configurato dal governo. Innanzitutto – afferma la giudice – essendo una limitazione della libertà personale (art. 13 della Costituzione), il trattenimento deve considerarsi misura eccezionale, e non la regola; non può essere disposto al solo fine di esaminare la domanda del richiedente asilo; né la sua applicazione può prescindere da una valutazione di necessarietà e proporzionalità in relazione alla situazione personale del migrante.

La disciplina predisposta dal governo non rispetta questi principi. Essa prescrive in via generalizzata la limitazione della libertà personale per chi proviene da paesi sicuri, cioè senza un esame individuale, in concreto, volto ad accertare che si tratti di una misura opportuna, necessaria e proporzionata.

La procedura di frontiera

Un secondo tassello della strategia dell’esecutivo in tema di immigrazione è il ricorso alla citata procedura di frontiera, prevista per i richiedenti asilo provenienti da paesi sicuri e senza documenti, in zone che non siano di “frontiera”. Ciò in quanto, nell’agosto 2019, un decreto del ministero dell’Interno ha disposto che alcune province italiane siano considerate zone di transito o frontiera (tra le altre, Trieste, Cosenza, Taranto, Brindisi, Siracusa, Catania, Messina, Trapani), cioè come se fossero al di fuori del territorio nazionale. Questa finzione giuridica contrasta con la normativa europea, che – spiega il tribunale di Catania – non autorizza l’applicazione della procedura di frontiera in un’area «diversa da quella di ingresso», e induce a dubitare della legittimità della misura.

E comunque, alla luce del principio fissato dall’art. 10, comma 3, della Costituzione, la mera provenienza del richiedente asilo da un paese sicuro non può «automaticamente privare il suddetto richiedente del diritto a fare ingresso nel territorio italiano per richiedere protezione internazionale», facendolo restare confinato alla frontiera, a seguito della relativa procedura, con il connesso trattenimento. Serve una valutazione caso per caso.

La garanzia finanziaria

Presenta criticità rilevanti anche un terzo tassello della strategia del governo: la fideiussione bancaria o assicurativa dell’importo di 4.983 euro grazie a cui il richiedente asilo può evitare il trattenimento, come disposto dal decreto Cutro, attuato da un decreto del ministero dell’Interno del 14 settembre scorso.

È vero che la direttiva accoglienza del 2008 prevede misure alternative al trattenimento, e tra tali misure inserisce la garanzia finanziaria. Tuttavia, il tribunale di Catania chiarisce che quest’ultima è configurata nella normativa nazionale non come una «misura alternativa al trattenimento ma come requisito amministrativo imposto al richiedente per il solo fatto che chiede protezione internazionale».

In altre parole, la legge italiana non prevede la fideiussione come strumento da valutare dopo la decisione sul trattenimento, e in alternativa ad esso in conformità alla disciplina Ue; ma come requisito da considerare già prima della decisione stessa, requisito in mancanza del quale scatta il trattenimento. Peraltro – ha precisato la giudice, richiamando l’orientamento della Corte di giustizia dell’Unione europea (Cgue) – un richiedente asilo non può essere «trattenuto per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità», cioè non dispone della somma fissata per la cauzione. Infine, il divieto che possa essere un terzo a versare la garanzia finanziaria per il migrante, come previsto dal citato decreto del Viminale, non è compatibile con la disciplina europea.

Una congiura dei giudici?

L’affermazione secondo cui un giudice è tenuto ad applicare la legge, e non a disapplicarla, come fatto dal tribunale di Catania, è del tutto infondata. Infatti, «la normativa interna incompatibile con quella dell'Unione va disapplicata dal giudice nazionale», come disposto dalla Corte costituzionale.

In altre parole, «ove insorga un conflitto tra un aspetto del diritto dell’Unione e un aspetto del diritto di uno stato membro dell’Unione (diritto nazionale), prevale il diritto dell’Unione», come affermato dalla Cgue. Questo principio di primazia della normativa Ue ha consentito alla giudice di disapplicare la normativa nazionale in contrasto con essa.

In un post su Facebook Giorgia Meloni si è detta basita dalla pronuncia della giudice per una serie di profili. Tuttavia, a differenza di quanto sostenuto dalla presidente del Consiglio, tale pronuncia non parla di Tunisia come paese non sicuro, non valuta nel merito le motivazioni dei migranti, ma si limita a enunciarle, disapplica le norme nazionali contrarie a quelle Ue, e non si scaglia contro nessuno, tanto meno contro «un governo democraticamente eletto».

Anziché ipotizzare una sorta di congiura giudiziaria contro l’esecutivo, non sarebbe più corretto riconoscere che le norme siano state scritte senza rispettare la cornice costituita dalla disciplina europea, e impegnarsi a legiferare meglio, e soprattutto nel rispetto dei diritti?

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