La vulgata liberista sostiene che chi si arricchisce non lo fa a spese del prossimo perché il libero gioco degli egoismi genera benessere per tutti. C'è chi ci crede e chi no, ideologicamente , ma sarebbe meglio analizzare casi concreti. Esempio di questi giorni: che cosa comporta per la comunità nazionale la scalata di Leonardo Del Vecchio a Mediobanca? Verosimilmente niente, anche se viene narrata come epocale. Nel piccolo stagno provinciale del capitalismo italiano i declinanti protagonisti si appassionano per piccole partite di potere che i loro irriducibili cantori non spiegano ai milioni di persone che lavorano.

Del Vecchio ha 85 anni ed è l'uomo più ricco d'Italia, con un patrimonio stimato dalla rivista specializzata Forbes in 20 miliardi di euro. E' un industriale vero. Partito da Agordo (Bl) con un negozio di ottica, è diventato il leader mondiale degli occhiali. La sua Luxottica, fusa con la francese Essilor, vale in Borsa 52 miliardi di euro, il doppio dell'Eni. Adesso la cassaforte lussemburghese Delfin è stata autorizzata dalla Banca centrale europea a salire fino al 20 per cento di Mediobanca, che vale in Borsa sei miliardi (erano nove prima del Covid). Si stima che Del Vecchio abbia speso circa 800 milioni per il dieci per cento acquistato finora. Perché un uomo così anziano e così ricco compra la maggioranza relativa di Mediobanca? In un'intervista al Messaggero ha spiegato che «in ogni paese ci sono snodi che contribuiscono a garantire la stabilità del sistema economico», e che «pezzi strategici come Mediobanca e Generali debbano essere dotati di un azionariato stabile e attento alle esigenze del Paese». Ne sappiamo quanto prima. Come sempre, si evoca la "stabilità" quando non si vuol dire niente.

Le Assicurazioni Generali di Trieste sono una delle maggiori compagnie europee. Del Vecchio le nomina perché Mediobanca è il primo azionista delle Generali. Mediobanca nasce nel dopoguerra come istituto pubblico per il credito all'industria. Enrico Cuccia, suo fondatore e dominus fino alla morte avvenuta nel 2002, ne fece grazie ai soldi dello stato la stampella del  zoppicante capitalismo italiano. Trent'anni fa Mediobanca si è trasformata in un condominio privato di grandi famiglie del capitalismo che garantivano a Cuccia la "stabilità" necessaria ad architettare le arbitrarie magie finanziarie con cui teneva in vita i suoi boccheggianti azionisti. Con i risultati che i milioni di disoccupati italiani possono oggi concretamente apprezzare.

I resti dell’impero

Mediobanca deteneva anche un potere immenso attraverso pacchetti azionari strategici in tutti i maggiori gruppi. Oggi di quell'impero è rimasto solo il decisivo 12,86 per cento delle Generali. Mediobanca vale sei miliardi in Borsa perché ha in pancia 2,5 miliardi in azioni delle Generali. La compagnia triestina vale in Borsa 20 miliardi. Nel 2019 ha prodotto un utile netto di 2,7 miliardi e distribuito agli azionisti 1,5 miliardi di dividendi, cioè una cedola superiore al sette per cento dell'investimento. Niente male, in un'epoca in cui il rendimento dei titoli di Stato è inferiore all'uno per cento. Infatti un terzo dei profitti realizzati quest'anno da Mediobanca, 600 milioni in tutto, sono i dividendi provenienti dal pacchetto Generali.

Dopo Mediobanca il secondo azionista delle Generali è l'immobiliarista Francesco Gaetano Caltagirone con il 5,29 per cento, seguito da Del Vecchio (4,84 per cento) e Benetton (3,99 per cento).

A spanne, ciascuno dei tre ha un miliardo di euro investito in una società che rende attorno al cinque per cento all'anno. Di fatto hanno accumulato tanto denaro nelle loro attività (basti pensare all'oscena rendita autostradale dei Benetton) che non hanno più voglia o idee per nuovi investimenti produttivi e hanno scelto le Generali come slot machine. Però da sempre accusano Mediobanca di sfruttare le Generali per i propri interessi anziché investire per farle rendere di più, per esempio acquisendo altre compagnie in Europa.

Del Vecchio scala Mediobanca per imporle una nuova filosofia: o vende la sua quota o si decide a investire sulle Generali. Questa strategia appare non appare focalizzata sulle «esigenze del paese» ma finalizzata semplicemente all'ulteriore arricchimento dei già ricchi. Potrebbe anche portare benefici a tutta la nazione, ma sarebbe un caso, un effetto collaterale imprevisto.

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