Potranno le democrazie essere salvate? E chi le salverà? Sono domande pertinenti e non sentimentali visto il flagello che sconvolge il paese-guida della democrazia, prontamente preso a modello dagli alleati più fedeli.

Tra gli anarco-capitalisti raccolti attorno a Elon Musk molti pensano che la democrazia non sia compatibile con la libertà economica e che lo stato collettore di tasse vada abbattuto insieme al sistema di giustizia (Bruce Benson propone di «rebooting medievalism as a model of criminal justice»).

Il vicepresidente americano, J.D. Vance, ha dichiarato due giorni fa che «i giudici non sono autorizzati a controllare il potere legittimo dell’esecutivo» e ha criticato la magistratura federale e le sentenze dei tribunali che hanno fermato parte dell’agenda di Donald Trump, come l’abolizione dello ius soli, l’accesso di Musk ai fondi pubblici, il congedo di migliaia di dipendenti dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale. Secondo Vance, i presidenti possono e devono ignorare le ordinanze dei tribunali che violano i loro legittimi poteri esecutivi.

Il fronte italiano

In Italia, la campagna contro i magistrati è cronaca ordinaria: i tribunali «intralciano» le decisioni del governo perché i giudici sono «comunisti». Con Trump, l’attacco si è esteso alla Corte penale internazionale, che tra l’altro il suo paese non riconosce.

Gli ha fatto subito eco il fedele Matteo Salvini che al circo del Make Europe Great Again in Spagna ha tuonato contro i giudici dell’Aia. La corte, la legge, i diritti: termini detestati nei palazzi degli esecutivi.

Per spiegare come è nato il divorzio dall’indipendenza del potere giudiziario si dovrà partire almeno dal progredire del populismo in questi ultimi decenni, con la sua mutazione maggioritarista della regole di maggioranza, con l’umiliazione del pluralismo politico e la scarsa tolleranza del dissenso.

Si dovrà parlare del disprezzo populista per il parlamento, giudicato luogo castale, inutile ed esoso. Dallo disfiguramento della regola di maggioranza e dalla debilitazione della funzione deliberativa collegiale si deve passare per cominciare a capire quel che sta succedendo alle nostre democrazie, oggi.

C’è solo l’esecutivo

Cominciare a capire. Perché, all’apparenza, queste storture sembrerebbero celebrazioni della democrazia, che vuole essere “governante” (sic!) e godere di esecutivi forti, di capi che con uno schiocco di dita eseguono senza impedimento quel che hanno promesso agli elettori.

Che cosa c’è di più democratico? Con questa lettura, sofista e bugiarda, talk show e media funzionali servono al popolo la patata avvelenata: solo l’esecutivo e la sua maggioranza sono il cuore della democrazia, non il corpo castale dei magistrati.

La costituzione che divide i poteri e istituisce organi di garanzia contro i poteri costituti è il principale ostacolo. E non è un caso se gli autoritari riscrivono nuove costituzioni o modificano quando possono quelle esistenti per approvarne altre a loro immagine e somiglianza. Una costituzione specchio del potere costituito non é una costituzione. È un regolamento.

Le democrazie si salveranno? Difficile dirlo. Ma se si salveranno saranno i poteri di controllo a salvarle, e costituzioni che sapranno resistere all’assalto quotidiano da parte dei poteri esecutivi. Costituzioni forti che celebrano la sovranità popolare attraverso la legge che la regola e l’articola. A salvare le democrazie saranno loro.

E tra queste, quelle che hanno la capacità di essere più di documenti tecnici per magistrati e avvocati, di essere testi di un civismo democratico che ispira la responsabilità verso la libertà e la giustizia come beni comuni.

A salvare le democrazie saranno i poteri di garanzia se i magistrati sapranno mantenere la loro onorabile indipendenza e non si piegheranno alle minacce o alle lusinghe di arroganti capi di governo. Il loro procedere è lento al contrario di quello decretizio che è veloce. Ma il potere di fermo è un mezzo che apre all’opposizione lo spazio per svolgere la propria funzione di critica, mirata e puntuale.

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