Da dodici anni Avviso pubblico compila un rapporto sugli amministratori sotto tiro, cioè su quelle persone votate dai cittadini che alcuni cittadini, singolarmente presi o riuniti in associazioni di vario tipo, comprese quelle mafiose, hanno deciso di aggredire o di intimidire.

La ciclicità del rapporto e l’attendibilità dei dati forniti lo collocano oramai tra quelli più importanti nel panorama nazionale, un vero e proprio punto di riferimento per chi voglia cercare di comprendere la variegata criminalità italiana da un angolo visuale del tutto diverso dal solito, che si abbevera, il più delle volte, alle sole fonti giudiziarie.

Chi si occupa di criminalità, i criminologi, i sociologi, gli storici, i giornalisti, sanno per esperienza che la materia è scivolosa e irta di insidie, soggetta a diverse interpretazioni; perciò sono importanti i dati, sempre una base solida da cui partire.

I numeri. Chiari e oscuri

Alcuni sono davvero sorprendenti. Il primo che balza agli occhi è il netto calo delle minacce e delle intimidazioni dal 2018 al 2022. Si passa da 574 casi del 2018 ai 326 del 2022. In totale 248 episodi in meno. Il calo più rilevante è quello tra il 2021 e il 2022, con 112 episodi in meno. Numeri interessanti che ci impongono una riflessione.

È certo un dato confortante che può significare più cose: un maggior controllo del territorio da parte delle forze dell’ordine, una presenza più attenta delle amministrazioni, oppure una scelta da parte delle organizzazioni mafiose di non usare la violenza esplicita come i morti ammazzati, per virare su una tecnica più sofisticata e meno visibile per mandare messaggi e segnali solo a determinati soggetti.

C’è, però, un altro aspetto che certo non è confortante ed è legato al numero oscuro. Tutti coloro che si occupano di sicurezza a cominciare da poliziotti, carabinieri, finanzieri, sanno che è il più difficile da quantificare.

Facciamo un esempio: quando c’è un incendio, la persona colpita può anche rifiutarsi di comunicare i suoi sospetti, a volte certezze, e tentare di mascherarli ricorrendo all’antica pratica dell’omertà, ma il dato rimane, è incontrovertibile e può essere aggiunto agli altri episodi simili.

Ma se si riceve una telefonata o una minaccia verbale via WhatsApp o per mail o sui social che ognuno usa giornalmente, se la persona interessata non denuncia, nessuno sarà in grado di dire che quel fatto è avvenuto veramente, e dunque scompare da qualsiasi rilevazione. Quanto sia il numero oscuro nessuno lo sa, né ha strumenti per colmare la lacuna.

Ci sono due dati che sono in progressiva diminuzione, il numero degli amministratori sotto tiro e il numero degli elettori che si assottiglia a ogni tornata elettorale, politica o amministrativa che sia. È una suggestione naturalmente, ma la domanda viene spontanea: c’è una correlazione tra i due fatti? Forse no, ma è anche possibile che una correlazione ci sia. Si può tentare un azzardo: la sfiducia è talmente ampia e sempre più profondamente radicata che non serve andare a votare, perché il voto non conta nulla di fronte a poteri immensi, sovranazionali che nessuno conosce e che decidono al posto nostro, e dall’altro lato non serve neanche insolentire gli amministratori che non sono in grado di decidere nulla.

Un intreccio sempre più stretto. Se questo azzardo ha un fondamento, la situazione democratica del paese è molto più grave di quanto si pensi.

Le fiamme

Dai dati emerge che l’incendio è ritornato ad essere la tipologia di minaccia più utilizzata a livello nazionale. Era andata meglio nel biennio 2020-2021, ma la tendenza è mutata di segno. La ragione può dipendere dal fatto che colpire auto, case, strutture comunali rappresenta un’intimidazione diretta molto forte e nel contempo una minaccia rivolta a tutti per marcare la presenza e la capacità di essere riconoscibili in modo visibilmente violento.

È il Sud a dare il maggior contingente a questa fattispecie criminale, e sono i comuni sciolti per mafia i luoghi dove questi atti si manifestano con percentuali e dati assoluti molto importanti. In questi casi c’è un miscuglio di rabbia sociale, di rancore, di incapacità di trovare soluzione ai propri problemi che induce a scegliere la via della violenza.

C’è un errore che non bisogna commettere ed è quello di credere che siccome oramai le mafie non ricorrono più alle stragi o agli omicidi come un tempo, vuol dire che la violenza sia scomparsa. Non è così. La violenza c’è, è presente nelle relazioni tra le persone e una parte è rivolta verso gli amministratori.

Poi c’è una gamma di comportamenti che dovrebbe costituire materia d’attenzione e di studio per sociologi, antropologi, psicologi o studiosi del costume perché molti sono i fatti riferiti, ad esempio, alla galassia No-vax, una specialità del nord, che sono stati i protagonisti assoluti di minacce e azioni inqualificabili (è il meno che si possa dire).

Poi ci sono episodi legati a scelte amministrative, opinabili quanto si vuole e semmai censurabili, ma che assolutamente non possono ricadere nell’ambito delle minacce e delle intimidazioni. Il rapporto indica, tra molti altri, i casi del sindaco di Collegno (Torino) che ha ricevuto reiterate minacce a causa delle multe comminate da un autovelox o quello di Giulianova (Teramo) dove due assessori hanno ricevuto lettere minatorie per aver eliminato i parcheggi dal lungomare centrale per fare posto alla pista ciclopedonale.

Infine 26 pagine del rapporto sono dedicate alla cronologia. È davvero una lettura illuminante ed istruttiva che spiega attraverso i fatti, grandi e piccoli, giorno dopo giorno, come sia davvero complicato, e in certi casi pericoloso, amministrare.

Ci sono anche episodi singolari come il ferimento del cane del sindaco di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria), o come un uomo che a Floridia (Siracusa) arriva in comune armato di coltello perché pretende dal sindaco la soluzione dei suoi problemi economici. È un’Italia che non finisce sulle prime pagine dei giornali, ma c’è e mostra cosa si muove nel profondo della società dove la violenza è ancora un mezzo per risolvere problemi e controversie.

E sbagliano quei sindaci che sono convinti che tutto ciò faccia parte del proprio mestiere, una sorta di pegno da pagare per poter amministrare. Non è così, non può essere così.

 

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