Il verdetto sul grande attore francese è fondamentale perché ha fatto emergere uno di quei casi che spesso vengono taciuti e perché ha messo in luce qual è il vero cuore della rivendicazione femminista del #MeToo: la violenza sessuale è sempre una questione di potere
Una vittoria per tutte le donne», secondo le avvocate dell’accusa; «un complotto femminista», secondo la difesa. La condanna di Gérard Depardieu a 18 mesi di carcere con sospensione della pena, per violenza sessuale ai danni di due lavoratrici del cinema, riporta d’attualità le ragioni, i temi e le controversie intorno al movimento #MeToo, che a partire dal 2017 ha fatto affiorare il sommerso degli abusi nel mondo dello spettacolo e oltre.
Invisibilizzate
Sono molte le ragioni per cui il caso del più celebre attore francese – 76 anni e centinaia di film all’attivo – merita attenzione. Il primo è proprio la sua lunga carriera, che ne fa uno degli uomini più potenti del cinema francese.
Un uomo che, parlando a propria difesa nel processo che si è concluso con la sua condanna, si è rappresentato come appartenente a «un’altra epoca», mostrandosi fermamente riluttante a riconoscere come abusi, come violenze sessuali, i contatti fisici non consensuali e indesiderati. Un uomo, soprattutto, incapace di vedere come, all’origine di ognuno di quegli atti, ci sia una relazione di potere.
Il caso Depardieu appare emblematico della tendenza all’invisibilizzazione della violenza in contesti in cui vige una muta accettazione del presunto diritto d’accesso al corpo femminile, per chi è avvolto dal prestigio della fama e occupa posizioni di predominio.
Ne sono una prova le dichiarazioni di solidarietà e gli appelli a non «cancellare» il grande attore provenuti da rappresentanti del mondo dello spettacolo francese – uomini e donne – di fronte alle molteplici accuse di molestie e violenze sessuali che lo inseguono da anni.
Il cuore della questione
Proprio per questo, tuttavia, l’esito del processo è significativo. Perché – ed è la seconda ragione per cui merita attenzione – evidenzia lo sforzo di disvelamento necessario perché ciò che ancora oggi il senso comune tende a derubricare come gioco goliardico, scherzo libertino o attenzione affettuosa sia riconosciuto come violazione della libertà femminile.
È questo – è sempre stato questo – il significato ultimo del movimento #MeToo, oggi sempre più spesso denigrato come eccesso “woke”, screditato come follia giustizialista, attaccato come manifestazione di “puritanesimo” femminista. Il tema è – è sempre stato – il potere, non il sesso.
La migliore sintesi della questione è forse quella che offre il personaggio della serie tv House of Cards, Frank Underwood (Kevin Spacey), quando guardando di camera cita Oscar Wilde: «Un grande uomo una volta disse: tutto, in fondo, ha a che fare col sesso. Tranne il sesso, quello riguarda il potere»
Molestie e violenze sessuali non sono una manifestazione di desiderio sessuale incontrollato, ma un esercizio di prevaricazione su corpi che sono ritenuti appartenere di diritto a chi li intende controllare e possedere.
Ciò resta vero anche quando il predatore confida nel consenso tacito della vittima. Quale consenso valido può esserci se da una parte c’è la presunzione di un diritto, dall’altro il senso riluttante di un dovere? Quale libertà sessuale può darsi quando l’incontro tra due persone è mediato dal potere che fa da cornice e dà significato al rapporto stesso?
Il consenso è molto di più dell’assenza di un no. È la possibilità di un sì vero. Per questo è così centrale per il #MeToo e per il movimento femminista nella sua interezza, nello sforzo di offrire una definizione nuova della violenza, più aderente al vissuto di chi la subisce. Per questo il suo riconoscimento è così osteggiato da chi teme che possa mettere in questione un’abitudine secolare maschile al dominio.
Il conflitto
La terza ragione per cui il processo Depardieu è significativo è proprio che ha messo in scena questo conflitto, dando vita a un caso emblematico di vittimizzazione secondaria per le accusatrici, ripetutamente appellate dall’avvocato della difesa come «bugiarde» e «isteriche».
Un segnale tutt’altro che trascurabile è venuto, qui, dal Tribunale che ha condannato l’attore a risarcire le vittime anche per le dichiarazioni lesive della loro dignità.
In una Francia che solo pochi mesi fa ha visto andare a processo 51 uomini per gli stupri ripetuti di Gisèle Pelicot, un’altra condanna eccellente scuote il comune sentire.
In un tempo in cui il vento della reazione, dell’attacco frontale ai diritti, soffia dagli Stati Uniti e da molti altri paesi, donne coraggiose sfidano il potere maschile e le sue complicità, mostrando che vale ancora la pena di combattere.
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