Molti si lamentano di quanto gennaio sembri sempre un mese lungo, che non finisce mai, ma potremmo invece amare gennaio proprio perché è l’unico assaggio di immortalità che abbiamo. Talvolta i nostri desideri, per esempio quello semplice di non morire, diventano realtà, anche se in maniera insoddisfacente. Ma comunque è già qualcosa, è meglio di niente. Gennaio è il contrario del tempo che fugge, e forse è meglio di certe settimane che volano via senza che ci siamo accorti di aver vissuto. È più vicino alla vita di quello che la sua reputazione di mese inesauribile e freddo lascerebbe supporre.

Cristallizzata

In questi giorni di tempo che scorre lentamente si parla molto di maternità, il che rallenta ulteriormente le cose e insieme le rende intrise di vita. Perché la maternità è una materia che cristallizza il tempo, è vischiosa e mitica. Si parla di maternità a partire da un fatto di cronaca, una vicenda terribile che coinvolge una madre e il suo neonato, una tragedia forse impossibile da raccontare, e infatti non la racconterò, anche perché è conosciuta.

Dirò invece che la condizione della donna che sta per avere un figlio è in fondo la stessa in ogni epoca, nel tempo sono cambiate un po’ la cultura e la scienza, ma senza esagerare, e in ogni caso questi cambiamenti non cancellano una questione intramontabile: diventare madre, e con questo intendo anche le questioni fisiche legate all’evento, significa anzitutto capire *come* intendiamo diventare madre, significa acquisire un’indipendenza e far sentire la propria voce.

E questo è facile a dirsi, ma non a farsi, perché purtroppo oggi come ieri abitiamo in un mondo che è ostile all’indipendenza. Esiste sempre un conflitto fra la nostra libertà di essere, o di non essere, e quello che il mondo inteso come sistema di regole, di pregiudizi e di storia radicata è disposto a lasciarci fare. Essere o non essere: per l’appunto questo è il problema. Sempre. Non so se qualcuno abbia mai cercato di parlare della condizione di una donna che sta per avere un figlio partendo da una riflessione sull’Amleto di Shakespeare. Forse no, forse è un’idea improbabile. Ma comunque proverò.

Come Amleto

Amleto è molte cose, per esempio è la storia di alcune persone che cercano di manipolare e controllare altre persone. Di dire loro come dovrebbero vivere, cosa sarebbe meglio che facessero, per il bene di sé stesse e di qualche ente o situazione superiore. Amleto è anche la storia di un figlio, e forse non è un caso che la storia di un figlio contenga il tema del manipolare e dell’essere manipolati. Del controllo.

Amleto non è padrone di sé stesso, dei propri sentimenti, gli viene chiesto apertamente di smetterla di piangere la morte del padre, perché non sta bene fare così, perché la vita va avanti, perché si sa benissimo che tutti moriamo, perché il buonsenso deve prendere il sopravvento sui sentimenti naturali. Anche in amore, si suggerisce che Amleto possa agire solo con l’approvazione e il consenso degli altri. Senza libertà. E non stupisce che dentro di sé Amleto sviluppi la sensazione che tutto sia tedioso, insipido, privo di senso e malvagio. Del resto, sulla crudeltà e la perversione del mondo in cui vive ha certamente ragione. Le persone che ci dicono cosa fare, che cercano di svilire il nostro dolore, a volte sono le stesse che in realtà hanno provocato quel dolore.

Immaginate una persona che vi dica: «Siediti lì, ti dico cosa devi fare. E come. Siediti, non parlare. Devi fare come dico io». Ripetete dentro di voi queste parole, lasciate che si depositino in fondo alla vostra anima e creino una zona di dubbio.

Le persone che cercano di dirci cosa fare, che provano a soffocare la nostra libertà di scelta, lo fanno per due ragioni. La prima è perché realmente pensano di saperne più di noi, di poterci consigliare, vuoi perché hanno studiato, vuoi perché hanno certe esperienze o credenze, vuoi perché stanno seguendo delle regole stabilite da altri, da un sistema, da un’istituzione. In questo caso, si dice, sono in buona fede. Ma la buona fede basta a dar loro la possibilità di essere sprezzanti e sbrigative nei nostri confronti?

L’altra ragione per cui certi provano a dirci cosa fare è che vogliono controllare la situazione. Vogliono controllare noi e quello che rappresentiamo. Lo fanno per interesse personale o perché cercano di proteggere sé stesse da qualcosa, da una situazione che percepiscono come ostile. Lo fanno per mantenere la loro idea di ordine, per salvaguardare il loro spazio di autorità. Questo può essere particolarmente vero nelle situazioni in cui c’è uno squilibrio di potere. In ogni caso, siamo molto distanti dall’amore. 

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