È da qualche giorno che mi interrogo sul perché la morte di Maradona mi abbia innervosito così tanto. Ammiravo il suo talento, ma non sono mai stato un suo fan particolarmente accanito. Pensando che un personaggio pubblico abbia più responsabilità nella vita di tutti i giorni, rispetto a una persona non famosa, mi sono ritrovato in mezzo a discussioni in cui le frasi chiave erano: “«Il mito/artista non si giudica moralmente!» e «Del resto anche Caravaggio ha ucciso due persone, ma resta Caravaggio» e così via. Alla fine della discussione mi rimaneva, comunque, il mistero sul perché la morte di Maradona continuasse a innervosirmi così tanto. Ad accendere la lampadina sono state le affermazioni di Antonio Cabrini: «Se Maradona avesse giocato nella Juventus, forse oggi sarebbe ancora qui perché l’ambiente lo avrebbe salvato… L’amore di Napoli è stato tanto forte e autentico quanto, ribadisco, malato». La cosa ha offeso molto i napoletani, tra l’altro il fatto che Cabrini sia un giocatore simbolo della Juventus ha peggiorato la situazione.
Un po’ forse scomposto nei tempi e nei modi, ma il concetto penso sia abbastanza condivisibile: Napoli è stata una madre con un amore viscerale per il proprio figlio e se gli avesse dato qualche scappellotto, lo avrebbe aiutato. Premessa: io sono palermitano. E per quanto Napoli a volte sorprenda perfino noi palermitani, penso che tutti i meridionali abbiano una percentuale di napoletanità a cui non si sfugge, sia nel bene che nel male. Potremmo definirci tutti “diversamente napoletani”. Detto questo, ho capito il motivo del mio nervosismo: non è causato dalla morte di Maradona in sé, e neanche dal concetto di “Maradona come Caravaggio”.

Il mio nervosismo nasce da come Napoli, e il meridione di Italia, viva il lutto della morte di Maradona. E più precisamente il sentimento di rivalsa che Maradona incarnava. È chiaro che la scomparsa di quello che è considerato universalmente il più bravo (e carismatico) giocatore del mondo, che negli anni ha regalato momenti sportivi straordinari che colleghiamo spesso a quelli della nostra vita, possa provocare tristezza. È del tutto comprensibile. Ma che nel 2020 questi diventi simbolo di rivalsa di un popolo, lo trovo preoccupante. La realtà è che Maradona veniva considerato, e da oggi ancora di più, un santo laico. Colui che ci fa le prodezze, ci fa sognare e ci fa andare orgogliosi della nostra città, della nostra provenienza meridionale. Perché lui rappresentava il sud del mondo. È uno stimolo per migliorarci? Dovrebbe. Ma sappiamo che dalle nostre parti per cambiare le cose bisogna, innanzitutto, pregare il santo della città: san Gennaro a Napoli, la Santuzza a Palermo (come chiamiamo noi affettuosamente santa Rosalia). In ogni città c’è sempre una santuzza o un santuzzo a cui aggrapparci, soprattutto al sud. Il problema è che attualmente né san Gennaro, né la Santuzza, e neanche tutti gli altri, si sono ancora fatti vivi. Non c’è, quindi, nessuno che fermi l’invasione di formiche addosso a una malata ricoverata in terapia intensiva a Napoli. Nessuno in città riesce a curare il problema di salute di un ragazzino tredicenne palermitano, che è costretto a prendere l’aereo per rivolgersi ai medici del Gaslini di Genova. L’orgoglio meridionale, in queste situazioni, dov’è? E dov’è quando anche il sud vota un partito che per circa trenta anni ha cantato che i napoletani puzzavano? O che sperava nell’eruzione del Vesuvio e dell’Etna? O che arrivava a teorizzare di lasciare la Sicilia alla mafia? Facendo una clamorosa giravolta anni dopo, motivata da un evidente puro calcolo elettorale? L’orgoglio meridionale in questi voti dov’è? Se si basa tutto il proprio orgoglio su un simbolo, senza però che questo ti stimoli a migliorare, senza nessuna conseguenza pratica, l’orgoglio è fuffa! Il sospetto è che noi meridionali idolatriamo Maradona non solo per il suo talento e il suo carisma, ma soprattutto per quel famoso goal di mano durante la partita contro l’Inghilterra. Quotidianamente, infatti, pensiamo di svoltare la giornata segnando un goal con la mano e andiamo a letto pensando di essere stati furbi e che l’arbitro non ci abbia visti. Purtroppo la vita è un arbitro attentissimo, ma noi nonostante i ripetuti fischi continuiamo a giocare come nulla fosse, pensando di essere i migliori. Vantandoci della nostra prodezza. Il resto del mondo non è mica capace di farlo! E mentre festeggiamo, abbiamo un’unica certezza: Napoli, Palermo e tutto il sud d’Italia, non sono “la mano de Dios”, ma semplicemente “lo spreco de Dios”.

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