Garantire un equilibrio di genere nei vertici delle pubbliche amministrazioni: è questo il lodevole obiettivo del provvedimento introdotto dal d.P.R. n. 82 del 16 giugno 2023, per cui a parità di punteggio viene selezionato il candidato meno rappresentato dal punto di vista di genere: una donna nella stragrande maggioranza delle pubbliche amministrazioni, un uomo nel contesto scolastico diffusamente femminilizzato.

Quote rosa da una parte, quote blu dall’altra, sembrerebbe logico ma se ci pensiamo nel contesto scolastico questa opzione riproduce esattamente le dinamiche esistenti nella società: uomini al potere, donne sottomesse. Con l’aggravante che a scuola si formano le nuove generazioni che assumono di riflesso un modello presente in maniera pervasiva in famiglia, a scuola, nello spazio pubblico e mediatico.

La vera cultura delle parità

Il problema della segregazione di genere nei contesti educativi e scolastici esiste, soprattutto nei primi cicli. Educatori e insegnanti uomini non superano il 5 per cento alla scuola primaria e l’1 per cento alla scuola dell’infanzia (dati Ocse 2022), percentuale tra le più basse registrate in Europa.

La loro vita professionale non è semplice: presenti in maniera minoritaria vengono non di rado considerati poco adatti a occuparsi della cura dei più piccoli e meno affidabili delle figure femminili, all’interno di un contesto culturale come il nostro segnato da ruoli di genere molto tradizionali.

Intervenire solo a livello di dirigenza, dove peraltro la segregazione di genere è molto meno significativa (i dirigenti maschi sono il 32 per cento in Piemonte, il 31,9 per cento in Lombardia e il 22 per cento nel Lazio, dati Miur 2022), anziché garantire maggiore equilibrio contribuisce ad aumentare la disparità di ruoli.

Per diffondere una cultura della parità, abbiamo bisogno di uomini che accudiscano lattanti ed educhino bambini e bambine, di maestri accanto a maestre che collaborino alla pari mostrando un modello di cooperazione e rispetto reciproco. A questo può contribuire, certamente, anche la presenza di figure dirigenziali femminili o maschili, orientate il più possibile a modelli di leadership partecipata e condivisa.

Un’alternativa

Più che di quote blu (o rosa) abbiamo grande urgenza di nuovi modelli di relazione di genere nell’educazione delle nuove generazioni. Se l’unico uomo presente a scuola (o uno dei pochi) è il capo, e la stragrande maggioranza delle donne dipende dalle sue scelte e decisioni, si rafforza ulteriormente un modello patriarcale.

Se questo dirigente, poi, gestisce in maniera esclusiva la dimensione pubblica della scuola, coltivando i rapporti con le rappresentanze dei genitori e con gli enti esterni, lasciando alle insegnanti il ruolo quotidiano di cura ed educazione della classe, non facciamo che ricreare le stesse identiche dinamiche della società: uomini ai vertici e aperti alla dimensione pubblica, donne che agiscono nell’ombra.

La scuola dovrebbe rappresentare una radicale alternativa alla società e un laboratorio privilegiato di trasformazione culturale. È qui che possiamo rifondare anche le relazioni di genere.

Se l’obiettivo è davvero superare il gender gap, innumerevoli sono le iniziative che si possono adottare per cambiare le cose: orientare i ragazzi motivati verso la carriera di insegnanti, valorizzare la presenza di coloro che lavorano già nella scuola, promuovere la partecipazione attiva dei padri alla vita della scuola, trasmettere modelli di relazione basati sul rispetto reciproco e la collaborazione, mostrando ad alunni e alunne che un altro modo di stare (insieme) al mondo è possibile.

© Riproduzione riservata